Durante questo campionato di Serie A si stanno delineando diverse linee di pensiero in merito facendo sorgere una domanda spontanea: quanto conta il turnover per vincere?

Il campionato italiano di serie A 2015-2016 si sta rivelando tra i più equilibrati degli ultimi anni, un livello uniforme legato soprattutto all’aumento qualitativo medio della serie A causato in parte dalla ripartenza del progetto Juve “quasi da zero”, in parte dall’innalzamento medio delle rivali che, con risultati altalenanti, stanno cercando di rendere vivo il campionato fino alla fine. Una situazione, quella italiana, completamente diversa da altre leghe come la Bundesliga o la Ligue 1, per citarne un paio, dove i campionati sono abbondantemente chiusi con leadership consolidate da livelli qualitativi troppo fuori dalla media.

Torniamo in Italia dove, soprattutto quest’anno, ci si sta dividendo tra due linee di pensiero fortemente differenti per quanto riguarda il turnover: quello estremizzato al negativo (con squadre quasi sempre identiche con un 11 titolare tendenzialmente omnipresente) e quello invece all’opposto con formazioni a volte incognite che faticano a trovare un equilibrio duraturo nel tempo. Proviamo ad analizzarle nello specifico.

Per quanto riguarda la politica del “non-turnover” sicuramente i massimi esponenti sono Maurizio Sarri (allenatore del Napoli) e, solo in parte, Max Allegri (coach della Juventus leader del campionato): le scelte dei due allenatori, soprattutto del primo, sono molto legate ad una struttura sempre identica. Se per l’allenatore degli azzurri il “non-turnover” si vede in quasi tutti i reparti, per quello juventino si denotano delle scelte continuative soprattutto nel pacchetto difensivo, vera garanzia della formazione torinese.

Differenti sono invece gli allenatori che prediligono il turnover, alle volte addirittura all’estremo. Tra i massimi esponenti si possono annoverare sicuramente Paulo Sousa, vero rompicampo degli allenatori avversari nella scelta dei giocatori da schierare, Eusebio Di Francesco, fortemente legato ad alcuni giocatori ma assolutamente creativo nelle posizioni “flessibili”, oltre allo stesso Roberto Mancini che quest’anno sta sfoggiando, specie nel reparto avanzato, scelte sempre diverse per cercare una quadratura del cerchio che fatica a trovarsi.

Considerando il solo campionato viene semplice rispondere che la scelta migliore sia quella del “non-turnover”: Juventus e Napoli stanno regalando un sogno ai loro tifosi con delle formazioni fortemente consolidate che permettono ai giocatori di trovare un’intesa altrimenti complicata da costruire. Una sinergia che si manifesta specie nei momenti di difficoltà, come con le piccole ad esempio, quando è fondamentale trovare la giocata vincente: sono in queste situazioni che, con un undici consolidato, si riesce a rompere il castello difensivo avversario per conquistare la posta intera.

Una politica che, specie per gli uomini di Sarri, non si è rivelata molto prolifica in Europa: la scelta di un basso turnover ha portato ad un’intesa poco sviluppata tra le seconde linee che, chiamate ad affrontare un avversario leggermente sopra la media come il Villareal, non sono stati in grado di portare a casa un risultato positivo fuori casa. Al ritorno, con un Napoli preso da un tour de force di 8 giorni con Milan (in casa), Villareal (in casa) e Fiorentina (fuori casa), Sarri è stato costretto a schierare la formazione titolare in 3 gare consecutive portando ad un carico ulteriore ai “soliti noti” che si manifesta con un calo di performance “naturale” anche per una squadra che, a mio avviso, sta producendo il miglior calcio italiano in questa stagione.

Se Atene piange, comunque, Sparta non ride: dall’altro lato un turnover estremo, come quello operato ad esempio da Paulo Sousa alla Fiorentina, non ha dato risultati nè in campionato nè in Europa: se in serie A dopo un inizio scoppiettante la squadra si ritrova a giocarsi l’Europa che conta, in Europa League l’uscita è maturata, come nel caso del Napoli, con un tour de force che ha visto i viola giocarsela con Atalanta (fuori casa), Tottenham (fuori casa) e Napoli (in casa). La difficoltà di gestire un calendario con una difficoltà medio-alta ha portato la Fiorentina a prediligere un obiettivo (l’Europa che conta in campionato) rispetto all’Europa League, quasi compromessa dopo l’1-1 casalingo dell’andata.

Quindi se nessuna delle due soluzioni funziona, quale è la scelta di turnover corretta? Probabilmente, come in tutte le cose, la verità sta nel mezzo. Sicuramente puntare su un numero troppo ristretto di giocatori può portare ad avere problemi di performance su più competizioni (il Napoli sta giocando solo per il campionato attualmente, quando a dicembre era potenzialmente in gioco come favorito su 3), all’opposto puntare anche su giocatori troppo marginali dando loro responsabilità eccessive può comportare difficoltà ad essere “sul pezzo” quando conta veramente (la Fiorentina ha deciso di puntare su un obiettivo sapendo di non riuscire a giocarsi gli altri in maniera concreta). Scegliere di puntare fortemente su 15-16 giocatori, magari puntando su quelli maggiormente in forma in quel momento (scelta spesso non facile, soprattutto quando c’è un nome sul cartellone da giustificare come ad esempio Higuain per il Napoli) così da ottimizzare il rendimento di tutti per riuscire a conquistare il massimo da ogni competizione.

A cura di Paolo Riva, collabora come scout in Serie D per società di primo livello come Piacenza Calcio, partecipa come contributore per diverse testate sportive online quali matchanalysis.it, footballscouting.it e mistermanager.it. E’ inoltre Co-Founder di Sports Open Data, organizzazione no-profit per la raccolta e l’elaborazione di statistiche sportive.

Fonte: MatchAnalysis.it