Abbiamo intervistato Giovanni Tedesco, attuale allenatore del Birkirkara. Classe 1972, tenace centrocampista d’inserimento, in carriera ha vestito le maglie di Reggina, Fiorentina, Foggia, Salernitana, Perugia, Genoa e Palermo. Da sempre, si contraddistingue per un radicale rifiuto verso alcuni meccanismi del sistema calcistico italiano.

Data la sua grande esperienza da allenatore in terra maltese, c’è qualche talento in particolare che ci vuole segnalare e che potrebbe fare il grande salto verso i campionati europei più importanti?

Nonostante il calcio maltese sia in costante crescita, sinceramente ad oggi faccio fatica ad individuare alcuni profili specifici che potrebbero ambire a lidi più importanti.

Qualche anno fa ho avuto il piacere di allenare Coronado, che in Italia ha vestito le maglie di Trapani e Palermo ed ora si trova negli Emirati Arabi. È lui, forse, il giocatore più importante che ho incontrato finora a Malta.

Il suo percorso da allenatore ha avuto inizio in Italia, più precisamente alla guida degli Allievi del Palermo. In generale, quali sono i calciatori che ha allenato nel settore giovanile, la cui carriera ha poi avuto un importante sviluppo?

Nell’anno alla guida degli Allievi a Palermo, ho avuto il piacere di allenare giocatori come Antonino La Gumina- ora al Benevento- e Luca Fiordilino, che attualmente veste la maglia del Südtirol.

Nel 2012, a Foligno, la mia esperienza durò appena tre partite, ma feci esordire un certo Matteo Brunori, all’epoca appena sedicenne, nel ruolo di trequartista. Senza dimenticare poi anche Accursio Bentivegna, ad oggi attaccante della Juve Stabia.

Secondo lei, rispetto agli anni precedenti, la nuova regolamentazione relativa alla presenza in rosa di calciatori stranieri ha contribuito ad innalzare il tasso tecnico del campionato maltese?

Assolutamente sì e anche notevolmente. Quando sono arrivato a Malta potevano giocare solo quattro stranieri al fianco di sette maltesi; pertanto, il livello tecnico era molto basso. Il prossimo anno la qualità si innalzerà ulteriormente, potendone schierare otto in campo più tre dalla panchina.

Il merito di questo costante miglioramento si deve però anche all’arrivo di numerosi allenatori italiani, quali Potenza, Agostinelli e Atzori, tanto per citarne alcuni. Se su certi aspetti c’è stato un upgrade, è però altrettanto vero che su tanti altri- soprattutto di tipo organizzativo- non c’è proprio la volontà di progredire.

Proprio a tal proposito, da dove nasce la decisione di fare tutti questi anni a Malta, invece di tornare subito in Italia?

Io sono venuto a Malta per fare la gavetta. Non avevo voglia di piegarmi a certi meccanismi tipici del calcio italiano. A differenza di alcuni miei colleghi, ho già avuto la possibilità di fare una ventina di partite tra Europa e Conference League, ho vinto una Coppa di Malta e fatto diverse altre esperienze.

Ora mi sento pronto a tornare in Italia per una nuova avventura, a patto che ci sia qualcuno con un progetto serio, che crede davvero in me. Non ho intenzione di scendere a patti su certi tipi di discorsi. Senza girarci troppo intorno, sto chiaramente parlando di sponsorizzazioni e del sistema marcio del calcio italiano, di cui nessuno parla. Se vuoi allenare, spesso, o entri in questo sistema o fai il leccac**o, ma io purtroppo non faccio né uno né l’altro e sono fiero di girare il mondo e di allenare [ride].

A Malta penso di aver fatto quasi sempre un buon lavoro, valorizzando anche tanti giovani calciatori. Ora però mi piacerebbe confrontarmi con un calcio differente.

Cosa ne pensa della partita Malta- Italia, in programma tra dieci giorni e valevole per la qualificazione ai prossimi Campionati Europei?

Anche la nazionale maltese è cresciuta molto e grande merito va attribuito soprattutto a Devis Mangia. Oggi non parliamo più di una squadra che ne prende 7-8 da chiunque; pertanto, non sarà una passeggiata nemmeno per l’Italia.

Tornando alla sua esperienza in terra natìa, solo una curiosità: che rapporto aveva con il presidente Maurizio Zamparini, considerati anche i differenti ruoli da lei ricoperti in società? L’etichetta da “mangia-allenatori”, da sempre attribuitagli dai media, è effettivamente reale?

Io ho avuto la fortuna di lavorare con i presidenti più turbolenti del calcio italiano: da Gaucci, a Preziosi, a Zamparini… e non solo. Lui era uno che difendeva sempre i suoi calciatori, dando di conseguenza contro agli allenatori. Glielo dicevo fin da calciatore, alcune responsabilità sono anche di chi gioca, ma lui non voleva saperne.

Se era un” mangia-allenatori”? quello sicuramente! Io forse sono stato l’unico che non si è fatto esonerare, andandomene via prima che mi cacciasse. Quell’anno ero lì con Schelotto, che andò via dopo sole tre partite, non aveva neanche il patentino. Si avvicendarono poi, in breve tempo, Novellino, Iachini e Ballardini. In questo tritacarne di allenatori non mi sentivo affatto bene e quindi ho deciso di rassegnare le mie dimissioni.Zamparini era una persona sicuramente capace, ma negli ultimi anni voleva fare troppo l’allenatore.

Se dovesse dare una descrizione di sé stesso in qualità di allenatore, come si definirebbe in merito a personalità e tipologia di concetti calcistici proposti?

Non sono Zeman, né De Zerbi, né Guardiola. Io sono Giovanni Tedesco, punto. Non mi piace fare tutto quello che fanno molti allenatori, tentando di copiarne altri che sono inimitabili. Personalmente, penso che ognuno debba avere le proprie idee, senza cercare di riproporre quelle degli altri. Per modo di vivere il calcio, mi sento molto vicino ad Antonio Conte. Odio perdere e quando succede divento matto.

Per quanto riguarda il modulo, avendoci giocato molto spesso, sento molto mio il 4-3-1-2. Potrei farti una seduta tattica sia di possesso che di non possesso con gli occhi bendati. Dovendomi adattare poi alle caratteristiche dei giocatori e alle esigenze del momento, mi è capitato di giocare anche con il 3-4-3 e il 3-5-2, che facevamo molto spesso con Cosmi a Perugia.

Al di là del modulo però, la cosa più importante è lavorare sul campo e non improvvisare e io lo faccio con passione, professionalità e dedizione. Ma soprattutto, ripeto, non amo perdere.Le mie squadre rispecchiano un po’ la mia identità: sono molto antipatiche perché prendono pochi gol e perdono poche partite. Infatti, qui a Malta, non sono molto amato dai tifosi avversari! [ride]

Ad un ragazzo giovane che vuole fare il grande salto, consiglierebbe di più un percorso di crescita nella Primavera o, in alternativa, una categoria nazionale inferiore, come ad esempio la serie D?

Onestamente, reputo il torneo primavera di basso livello complessivo. Se dovessi consigliare ad un ragazzo un percorso di crescita, gli direi di andare a giocare in serie D, in un campionato vero e all’interno di uno spogliatoio di veri uomini, in cui si cresce più velocemente anche a livello umano. Su questo aspetto, tra Primavera e Serie D non c’è proprio paragone.

Sempre a proposito di crescita, sarebbe funzionale secondo lei l’investimento da parte delle società in una squadra B, all’interno della quale sviluppare i propri giovani?

Non seguendo nel dettaglio il calcio italiano da un po’ di anni, mi astengo dal commentare gli ipotetici motivi per i quali nessuna società investe su questo tipo di progetto. Se lo trovo funzionale, assolutamente sì. Ne è esempio la Juventus, che permette ai suoi giovani di disputare un campionato di Lega Pro, che è molto formativo, offrendo peraltro ai ragazzi la possibilità di far parte della prima squadra in caso di necessità.

Ormai moltissimo tempo fa, mi è capitato di vedere una partita degli Allievi dell’Inter. Su 11 giocatori 10 erano stranieri. Così facendo, si nega il sogno di giocare a calcio a potenziali talenti italiani. Da quel momento in poi, ho smesso di seguire con continuità.

Poi ribadisco, finché in Italia non cambiamo il sistema è inutile affrontare certi argomenti. Fin quando i genitori pagano per far giocare i propri figli, gli allenatori lo stesso per allenare e i procuratori altrettanto con le commissioni, possiamo stare qui ore a parlare di tutti i come, cosa quando e perché.

Ciò che è marcio è proprio il sistema in generale e ancor più brutto è il fatto che nessuno ne parla. Andrebbe cambiato tutto a partire dai settori giovanili. Lo dico perché a quanto appena detto su allenatori, giocatori e procuratori ho potuto assistervi con i miei occhi. Pertanto, non lamentiamoci se poi in Italia non crescono talenti validi.

Questo suo essere così apertamente controcorrente rispetto al sistema, pensa possa essere un ostacolo nel prosieguo della sua carriera?

Certo che sì. Quattro anni fa ho già avuto contatti con alcuni club, che ho categoricamente rifiutato per il loro approccio diretto allo sponsor. Ogni volta che rilascio un’intervista poi, non faccio altro che ribadire quanto detto poco fa, il che sicuramente qualche porta me la chiude. Tuttavia, assieme al mio procuratore, stiamo lavorando per rientrare al più presto in Italia.

In chiusura d’intervista, Giovanni Tedesco ha annunciato in esclusiva a Football Scouting, l’uscita del suo primo libro, prevista per i prossimi mesi. Al suo interno, numerosi aneddoti sulla sua carriera da calciatore e da allenatore, raccontati con la solita schiettezza che lo contraddistingue.

Foto: tifosipalermo.it