Valerio Zuddas, preparatore atletico della Reggina, è stato intervista in esclusiva dalla redazione di Footballscouting.it, trattando diverse tematiche: ecco le sue dichiarazioni in merito all’importanza della figura che ricopre.

Quando e dove hai mosso i tuoi primi passi da preparatore atletico?

“Ho iniziato alla Lazio calcio a 5. Mi occupavo di prima squadra ma anche di settore giovanile. L’anno successivo sono andato alla Lupa Roma, in Serie C. Parallelamente alla Lazio ho avuto altre esperienze, in squadre di Eccellenza e collaboravo con altri settori giovanili di calcio, di basket, di volley. Ho fatto esperienze multidisciplinari”.

Quali sono le differenze di preparazione tra Calcio a 5 e Calcio a 11? Ci sono aspetti che inducono a scegliere l’uno piuttosto che l’altra?

“Di base Calcio a 5 e Calcio a 11 sono due sport di abilità, non di prestazione, ciò che conta sono gli aspetti tecnico-tattici. Gli aspetti fisici vengono a cascata, non sono così dominanti come negli ultimi anni si poteva credere. L’unica differenza è data dalle dimensioni del campo, dalla superficie, dal numero di giocatori coinvolti e in alcuni casi dal regolamento. Però i meccanismi energetici sono simili, cambia qualcosa a livelli di tempi, di gesti tecnici”.

Che figura è quella del preparatore atletico?

“Il vecchio prototipo di preparatore atletico che c’era negli anni scorsi – con l’evoluzione del calcio negli ultimi tempi – è stato rivisto. Il calciatore è diviso in più aree, tra cui quella cognitiva che è molto importante. Il preparatore si occupa insieme allo staff tecnico e all’allenatore di organizzare l’allenamento. All’interno della settimana c’è sicuramente un allenamento senza l’utilizzo del pallone, ma è molto ridotta poiché quello che si fa in gara è giocare con il pallone. Il compito del preparatore atletico è quello di misurare il carico di lavoro per poi valutare, insieme agli altri elementi dello staff, training load settimanale del calciatore”.

Il preparatore atletico è anche un mediatore tra allenatore e calciatori?

“Il preparatore atletico deve instaurare un rapporto di fiducia con il calciatore, molto diretto. A me piace quotidianamente dialogare con i ragazzi per sentire le loro sensazioni prima, dopo e durante gli allenamenti. È importante avere un colloquio diretto con loro, perché il dato numerico è una cosa, ma avere un quadro completo anche a livello umano è molto importante per capire il modo in cui vengono apprese ed elaborate le informazioni”.

Quanto influisce la preparazione estiva sulle strategie del campionato?

“La preparazione estiva sulla forma in generale sul campionato influisce poco o niente. È impossibile pensare che quello che si fa a luglio e ad agosto possa influire minimamente su come si sta a settembre, perché c’è una situazione biologica completamente diversa. La forma viene acquisita settimanalmente”.

Qual è il ruolo del preparatore atletico per quanto riguarda la prevenzione degli infortuni?

“Questa è una delle strade in cui la nostra professione potrebbe andare a specializzarsi. Per prevenire un infortunio bisogna portare l’atleta ad acquisire il pieno controllo di tutti i movimenti”.

È stata una casualità il numero elevato di infortuni al crociato quest’anno oppure c’è un fattore dominante che comporta ciò?

“La piena efficienza dopo tale infortunio si recupera dopo 6-8 mesi. Questo tipo di infortunio è dato sicuramente dall’aumento di partite e dell’intensità degli allenamenti. Io credo che sia opportuno, con la collaborazione dello staff medico-sanitario, fare una valutazione puntuale sull’atleta, vedere asimmetrie e avere un’idea chiara delle caratteristiche del calciatore”.

Su quali criteri vengono monitorati i calciatori durante gli allenamenti?

“La tecnologia negli ultimi anni ha dato sicuramente una mano per quanto riguarda il monitoraggio del carico. Prima si usavano i cardiofrequenzimetri, ora c’è una novità sulla quale stiamo lavorando: pantaloncini da indossare che ci indicano il carico degli stress muscolari della gamba. Più dati si hanno e meglio è per avere un quadro completo del percorso dell’atleta in partita, anche per decretare eventuali riposi”.

Quale consigli ti senti di dare ai giovani che vorrebbero intraprendere questa professione?

“L’ambito medico-sanitario non è una branca a parte. Intraprendere questo mestiere è bello, è bello stare in campo. All’interno di una società sportiva è importante capire come relazionarsi con i ragazzi quotidianamente”.

Qual è l’obiettivo delle giovanili, anche a livello fisico?

“L’obiettivo delle giovanili è quello di formare il calciatore sotto tutti i punti di vista, in primis quello tecnico-tattico. Per quanto riguarda l’aspetto fisico ci sono vari fattori che andrebbero curati maggiormente, come l’educazione alimentare e gli aspetti psicologici, piuttosto che concentrarsi prettamente al risultato. Bisogna formarlo per permettergli di inserirsi più facilmente nelle prime squadre”.

A proposito di alimentazione, cosa deve e non deve mangiare un atleta?

“È importante sicuramente l’integrazione subito dopo l’attività sportiva. La prevalenza di carboidrati e proteine va bilanciata correttamente anche in relazione ai carichi di lavoro settimanali. È impensabile mangiare in maniera disordinata come si vede fare spesso, purtroppo, in contesti culturali in cui si ha a che fare. Bisognerebbe cercare di mettere ordine perché la nutrizione incide in maniera decisiva”.