Era l’oramai lontano 2018: il governo varò il Decreto Dignità, un decreto legge che tra le altre cose aveva anche l’obiettivo di tutelare i giocatori, limitando e regolando la possibilità di fare pubblicità ai siti di scommesse e casinò online.

Ebbene, a distanza di cinque anni dall’entrata in vigore di quella legge, non tanto sembra però essere cambiato rispetto a prima: i contenuti relativi al gioco continuano infatti a essere presenti in tv come negli stadi, come peraltro hanno ben documentato alcuni recenti approfondimenti condotti da PagellaPolitica e, negli ultimi giorni, da IlPost.

Il confronto delle scommesse sportive

Facciamo uno degli esempi più clamorosi: prima e durante le partite molti canali televisivi trasmettono dei servizi in cui vengono confrontate le quote dei risultati tra i vari siti di scommesse che propongono interessanti bonus scommesse di benvenuto, come quelli sulla homepage di miglioribonusscommesse.

Questi contenuti sono perfettamente rispettosi delle linee guida dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), che di fatti non li considera pubblicità, ma segmenti in cui vengono fornite delle semplici informazioni che non dovrebbero indurre al gioco.

Naturalmente, così come sono impostati, questi spazi quote è evidente che tutto siano tranne delle semplici condivisioni di informazioni: in qualche modo costituiscono una pubblicità agli operatori citati, aggirando di fatto il divieto in vigore.

Cosa dice il Decreto Dignità

Ma che cosa dice esattamente il Decreto Dignità? Voluto dal primo governo Conte, all’articolo 9 vieta “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro” effettuata su qualsiasi mezzo, comprese le manifestazioni sportive e le trasmissioni televisive e radiofoniche. 

Di contro, le uniche pubblicità di gioco d’azzardo che sono ammesse dalla legge sono quelle alle lotterie nazionali a estrazione differita, ovvero i giochi a estrazione che non prevedono una vincita immediata.

La norma venne originariamente accolta con sentimenti contrastanti: per alcuni avrebbe contrastato la diffusione del gioco, per altri avrebbe messo in seria difficoltà un segmento dell’economia molto importante per il Paese. A protestare furono anche le società di calcio che beneficiavano delle sponsorizzazioni nel settore. Si pensi, che ad esempio, pochi mesi prima la Roma aveva siglato un contratto di sponsorizzazione per le proprie divise da allenamento con un noto brand, per interrompere poi l’accordo nel 2019 rinunciando così a un incasso di 15,5 milioni di euro che avrebbe guadagnato in tre anni.

Una corsa ai ripari

Dopo il Decreto l’AGCOM scelse di correre ai ripari avviando una serie di consultazioni con le società concessionarie del gioco e con alcune associazioni di categoria al fine di discutere in che modo il divieto andasse applicato. Ne erano emerse alcune linee che introducevano delle eccezioni che sono state abbondantemente sfruttate dagli operatori.

In particolare, per l’AGCOM non sono considerabili come pubblicità le informazioni sulle quote, sui jackpot, sulle probabilità di vincita, sulle puntate minime né sugli eventuali bonus offerti, a patto che siano rilasciate in un contesto in cui si offre il servizio di gioco a pagamento. Non costituiscono pubblicità, per le linee guida AGCOM, nemmeno gli spazi quote nei programmi televisivi sportivi, sebbene – implicitamente – siano una forma di promozione al gioco.

Cosa farà il governo Meloni

La vicenda potrebbe però non essere finita qui. Qualche mese fa, infatti, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera da parte del ministro dello Sport, Andrea Abodi, venne anticipato come il governo di Giorgia Meloni volesse superare definitivamente le restrizioni che erano state introdotte nel 2018, soprattutto perché con quei divieti le società di scommesse tendono a investire di più nei campionati di altri Paesi, in cui invece le leggi sono sicuramente più morbide, permettendo di fatti di farsi pubblicità senza grossi problemi. 

Lo stesso ministro dello Sport Abodi aveva poi riconosciuto che – in fondo – aggirare il divieto era tutt’altro che impossibile (anzi). In particolare, rispondendo a un’interrogazione parlamentare in Commissione Cultura della Camera, aveva detto che era “ipocrita aver vietato il diritto alla scommessa” quando poi veniva consentita “una comunicazione parallela degli stessi siti che promuovono semplicemente un indirizzo web che porta inevitabilmente comunque a scommettere”.

Insomma, tutto lascia presagire che presto il divieto possa essere abolito o contenuto fortemente. In attesa, aggirarlo non sembra essere così arduo…