Tutto pronto per il Mondiale di Russia 2018 che, a malincuore, non vedrà protagonista l’Italia. La redazione di FootballScouting, in collaborazione con la Gazzetta di Don Flaco, presenta in questo articolo tutti quei talenti che potranno salire alla ribalta nella rassegna mondiale pronta a partire tra pochissimi giorni. Ecco tutti i nomi da cerchiare in rosso.

FROM UNDERDOG TO…

Ismael Díaz – Panama

Consapevolezza e pregiudizio. Ecco i presupposti da cui parte il Panama di Hernán Gómez in vista del Mondiale di Russia ormai imminente, il primo nella storia dei Canaleros. La consapevolezza del tutto umana di dover affrontare un girone di ferro e tecnicamente eccessivo, tra Inghilterra e Belgio, unita al malizioso detrimento dei bookmakers, che ormai da settimane si stanno sbizzarrendo con le quote riguardanti il peggior attacco, la peggior difesa e un preannunciato ultimo posto nel girone. In particolare quest’ultima: un misero 1,45. Uno stereotipo artefatto che genera poca convinzione nella realistica valutazione della seconda faccia della medaglia: il peggior nemico è sempre chi combatte senza nulla da perdere. E la Marea Roja sembra aver intrapreso con incauta fede questa via. I talenti in vetrina sono due: Michael Murillo, terzino destro classe ’96 dei New York Red Bulls, e Ismael Díaz del Deportivo Fabril, seconda squadra Deportivo La Coruña militante nella Segunda B (La Lega Pro iberica), con la quale ha messo a referto 6 reti in 12 partite nella stagione consegnata agli archivi. Díaz è un’ala sinistra pura, ma non per questo a-polivalente sotto il profilo tattico. Anzi, se la cava bene anche da falso nueve, forte di una buona struttura fisica (182×77), e discretamente sulla fascia opposta. La gambeta è indubbiamente la sua marca de fábrica, lo spirito combattivo il dogma fondamentale. Classe 1997, il suo nome nel fútbol panameño è sinonimo di precocità. Díaz ha fatto il suo esordio nel professionismo in CONCACAF Champions League con la maglia del Tauro FC, ad appena 15 anni e 2 mesi, finendo per attirare l’interesse del Porto, che nel 2015 lo ha acquistato e inserito nella squadra riserve. Coi Dragões è arrivato anche l’esordio contro il Famalicão, in Taça CTT, al posto di André Silva, a 10 minuti dalla fine del match. Ten minutes of fame warholiani che, corroborati da 15 gol e 10 assist in 58 partite con la squadra B, sembravano preannunciare un altro – l’ennesimo – big affair del volpone Pinto da Costa, che di talenti ne prende tanti e li vende meglio, se possibile. Pur trattandosi, in moltissimi casi, di autentiche bolle speculative. Quest’anno Díaz si è ritrovato all’ombra del Riazor dopo il mancato accordo tra il club portoghese e il Tauro, che voleva incassare almeno 3 milioni dalla cessione del giovane calciatore. La sua ascesa verso l’esordio nella Liga è stata bloccata da una serie di sfortunati eventi: prima l’impossibilità di esordire per la quota di stranieri già presenti in prima squadra, in seguito per un grave infortunio riportato al ginocchio e che ha compromesso praticamente più del 50% della sua prima stagione in terra iberica. Nonostante ciò, la sua maturazione deve completarsi soprattutto sotto il profilo tecnico, ed un campionato sotto la guida di Clarence Seedorf in Segunda División potrà giovare alla crescita di Díaz, che intanto si appresta a vivere il suo primo Mondiale, peraltro senza mai essere passato dalla squadra Under-23. Un Mondiale che verrà vissuto con consapevolezza, ma anche tanta voglia di combattere.

Sardar Azmoun – Iran

Per l’assenza di un talento grezzo come Reza Shekari, che ad essere onesti può sorprendere, c’è un Sardar Azmoun che convince, e deve confermare. L’Iran del portoghese Carlos Queiroz si ritrova in un girone anche più complicato, se possibile, di quello che il destino ha riservato alla “matricola” Panama, composto da una Spagna ritrovata, almeno da quanto si è visto nelle amichevoli disputate dagli uomini di Julen Lopetegui, il Portogallo campione d’Europa in carica, ma con tante sorprese (come l’assenza di Cancelo, André Gomes e Semedo), e il Marocco dell’illuminista Hervé Renard, impreziosito edonisticamente da tanti talenti in grado di accendere la luce da un momento all’altro. Hakim Ziyech docet. Azmoun è senza ombra di dubbio il calciatore più interessante del panorama calcistico iraniano. Lasciamo da parte la solita e melensa stigmate di “Messi Iraniano”, perché sotto ogni punto di vista il giovanissimo Sardar è un calciatore a sé stante e con caratteristiche ben chiare agli occhi degli osservatori. Punta longilinea (186×77) veloce palla al piede, buone doti nel gioco aereo e un tasso tecnico impressionante per un calciatore dotato di un simile fisico. Per lui parlano i numeri: già 137 partite da professionista in Prem’er-Liga tra Rostov, club con cui ha segnato anche un gol al Bayern Monaco in Champions League, e Rubin Kazan, che lo ha scovato ai tempi del Sepahan Football Club nel 2011, impreziosite da ben 37 reti e 16 assist. Ben più impressionanti le statistiche con le Under e la Nazionale Maggiore Iraniana: tra l’U-17 e l’U-23 addirittura 30 gol in 29 partite, con i grandi 23 in 32. Una capacità di vedere la porta, come una classica prima punta, che si compendia intorno alla generosità che Azmoun mette al servizio della squadra, oltre alla sua grande dote di saper svariare su tutto il fronte offensivo, molto spesso agendo anche come ala destra o sinistra. Nel 4-1-4-1 di Carlos Queiroz il suo compito sarà favorire gli inserimenti e le ripartenze di calciatori rapidi di gamba come Alireza Jahanbakhsh, Taremi, Ashkan Dejagah ed il 1996 Ali Gholizadeh. Un’intera nazione punta su di lui, una nuova speranza. Forse in misura pure maggiore rispetto ai suoi “illustri” predecessori Saman Ghoddos e Reza Goochannejhad, che per sfortuna e altri fattori vari non sono mai riusciti a prendere in mano il destino calcistico dell’Iran. It’s time. To be predestined.

Renato Tapia – Perù

Laddove si attende che il destino faccia il suo corso, nel calcio come nella vita, senza aspettative o eccessive pretese, perché in fin dei conti è il fato a decidere, la news più importante è sicuramente il ritorno del Depredator Paolo Guerrero, il grande simbolo della nazionale blanquirroja, agli ordini del CT Ricardo Gareca. Il Perù dovrà vedersela con la Francia, che si presenta ai nastri di partenza del Mondiale con tantissime sorprese rispetto alle idee iniziali di Didier Deschamps, a partire dalle assenze di Adrien Rabiot e Clément Lenglet, l’Australia e la Danimarca, che anno dopo anno non smette di cercare la propria identità, un po’ come Kasper Dolberg. Di talento il Perù ne ha in ogni reparto. Con Miguel Trauco, Cristian Cueva e l’ex interista Andy Polo. Di velocità credo sia pure inutile parlarne, con il senatore Jefferson Farfán, il what if André Carrillo ed Édison Flores, che dopo una breve, sfortunata avventura nella squadra riserve del Villarreal ed il ritorno in patria, con la maglia dell’Universitario, è sbarcato in Superligaen danese con l’Aalborg. Un collettivo che se la giocherà all’arrembaggio e che – per farlo – necessiterà di giocatori in grado di far da frangiflutti davanti alla difesa. Et voilà Renato Tapia. Classe ’95 di proprietà del Feyenoord, fisico scultoreo e un carattere spavaldo, ma non per questo manchevole di umiltà. Tapia ha ovviamente iniziato il suo percorso in patria, con la maglia dello Sporting Cristal, che fu la squadra di un certo Machi, papà di Manuel Lanzini, prima di passare all’Esther Grande de Bentín. A portarlo in Europa è stato il Twente, club con cui ha esordito in Eredivisie nell’agosto del 2014, mentre al Feyenoord è arrivata la prima consacrazione con la vittoria di tutti i trofei nazionali: campionato, coppa e Supercoppa. La sua crescita è stata esponenziale e le statistiche non fanno altro che confermare il suo talento: circa 4 contrasti, dei quali il 70% risolti a suo favore, 1.5 tackle e 2 recuperi a partita. Dei dati che in ogni caso vengono corroborati da un buon 86% nella precisione dei passaggi ed 1.5 dribbling ogni novanta minuti. La sensazione generale che si ha di Tapia è quella del giocatore che per tanti anni è mancato al Perù per sopperire all’arrembante potere offensivo dei suoi interpreti. E ora che è tornato il leader Guerrero, allora la blanquirroja può almeno sperare. Tanto alla fine fa tutto il destino, ma anche un interditore sicuramente fa comodo.

Moussa Wagué – Senegal

Il Senegal punta tutto su Sadio Mané: quante volte l’abbiamo sentito dire? Trattasi di postulato, ma per certo non di una verità assoluta. L’attaccante esterno del Liverpool attualmente è tra i più forti al mondo nel suo ruolo, ma ha dei validi compagni al suo fianco, come Idrissa Gueye e Ismaïla Sarr. Il collettivo di Aliou Cissé, a detta di molti, potrebbe essere la grande sorpresa della competizione. Nel reparto difensivo spetterà a Kalidou Coulibaly ed al capitano Cheikhou Kouyaté guidare tutta la linea, e al loro fianco ci sarà anche Moussa Wagué, terzino destro classe ‘98 del KAS Eupen. Il giovane talento nativo di Bignona, nella parte sudoccidentale del paese, non ha faticato troppo nella conquista di un posto da titolare, e si appresta a vivere il suo primo Mondiale ad appena 20 anni. La sua carriera è iniziata in patria nell’Aspire Academy, prima di passare in Belgio al raggiungimento della maggiore età. Il Senegal prenderà parte al girone più equilibrato del torneo insieme a Polonia, Colombia e Giappone, ma non è da escludere che possa addirittura passare la prima fase da testa di serie. In due stagioni giocate in Jupiler Pro League Wagué ha collezionato 43 gettoni, che fanno un po’ di curriculum, certamente, mentre con la maglia della sua Nazionale deve ancora arrivare a 10. La sua principale caratteristica è la capacità di interpretare e svolgere al meglio entrambe le fasi del gioco. Dotato di buona corsa, è un cliente parecchio ostico nell’uno contro uno difensivo, mentre nella fase offensiva è sconsigliabile lasciarlo indisturbato nel prendere velocità palla al piede. Deve sicuramente affinare i fondamentali tattici, dato che soffre molto spesso i tagli verso l’area di rigore degli attaccanti esterni avversari, pur avendo dalla sua parte la leadership di due centrali difensivi di grande esperienza, che possono letteralmente guidarlo al fine di prevenire possibili errori.

Nemanja Radonjić – Serbia

E giungiamo all’ultima spiaggia, con un tocco d’italianità. Forse Nemanja Radonjić troverà molto meno spazio rispetto agli altri quattro talenti precedentemente elencati, ma certamente non pecca in quanto a talento. Dicevamo Italia, perché in effetti la sua storia calcistica passa anche dal Belpaese, senza acuti nel professionismo. Nato a Niš, centro amministrativo del distretto di Nišava, ha mosso i primi passi sul rettangolo verde con il Radnički, in seguito a un paio di esperienze giovanili in club locali come Medijana e Železničar. Poi il Partizan, che fu madre calcistica di Stevan Jovetić, con cui fa tutta la trafila nelle giovanili. Il problema sorge quando i dirigenti degli Crno-beli gli mettono davanti il contratto da professionista solo da firmare. Niente ansia, nessuna preoccupazione. Chiaro. Il problema è che Nemanja tifa Stella Rossa e non ne vuole proprio sapere di giocare con la maglia della squadra rivale, che finisce per subire il più classico sgarbo del mezzo per un fine. Viene preso dall’Academia de fotbal Gheorghe Hagi, che in pratica fa da bacino e scuola calcio formatrice per il Viitorul Constanţa, in Romania, prima di prendere al Viareggio da non tesserato con la Roma, che in seguito lo manderà in prestito all’Empoli per una stagione. Un costante girovagare che nel 2016 ha riportato Radonjić in patria, con il Čukarički Stankom. E la partenza è di quelle sprint: neanche il tempo di segnare un gol all’esordio in SuperLiga serba, che a una settimana di distanza Nemanja la mette in porta da 30 metri contro lo Jagodina, club passato in primo piano nel 2014-15 per aver tesserato la meteora (ma più che altro Supernova) Freddy Adu, che proprio ieri ha spento le ventinove candeline riuscendo a far sentire vecchio anche uno scrittore di 21 anni. Ad ogni modo, tornando a Radonjić, il cerchio si è chiuso nel luglio dello scorso anno. Almeno dal punto di vista sentimentale. Lo chiama la sua Stella Rossa, e la prima domanda che Nemanja pone ai dirigenti del club si slega da cifre, contratti o sponsor. No, non resiste proprio. Col cuore pensa già al numero di maglia che indosserà. Alla fine ha scelto la numero 49, e l’annata si è chiusa decisamente bene. Tra SuperLiga, Kup Srbije ed Europa League sono arrivate 39 presenze, 7 gol e 2 assist. Ciliegine sulla torta: il gol segnato nel derby eterno dello scorso aprile contro il Partizan, piazza dove ormai il suo nome sarà sicuramente poco gradito nel presente (e sicuramente anche in futuro) e inserimento nella top-11 della SuperLiga, votata da capitani e allenatori di ogni squadra facente parte del campionato. Un insieme di fattori che ha fatto da input nel convincere il CT Mladen Krstajić a convocarlo per l’avventura della Serbia in Russia. Il girone non è facilissimo, tra il Brasile favorito per sollevare la coppa, Svizzera e Costa Rica, che sono clienti a cui si possono vergare tante cose fuorché la classica etichetta di avversarie comode, ma tra la leadership di Kolarov e Mati, l’imprevedibilità di Tadić e l’eleganza di Milinković-Savić, potrebbe trovare spazio anche la grande personalità di Radonjić. Magari sulla sua fascia sinistra, dalla quale ama partire per effettuare la classica giocata robbeniana: rientrare, dribblare, calciare. Intanto sul fronte calciomercato sembra bollire qualcosa nel calderone, con il Genoa che sembra molto interessato a riportarlo in Serie A, sperando nell’ennesimo affare in pieno stile Enrico Preziosi. Voci che attendono conferme, mentre le conferme che contano davvero – per Nemanja – dovranno arrivare dal campo. In fin dei conti basta averne l’opportunità.