La redazione di FootballScouting è orgogliosa di presentare la nuova rubrica “Scaglie di Grana”, scritta da Giuseppe Granara, ex capitano del Cagliari Primavera che ha scelto di approdare negli States per costruire un piano B tra studio e calcio grazie ad una borsa di studio che lo ha portato alla Robert University di Tulsa in Oklahoma. Ecco a voi l’undicesima e ultima puntata.

Scaglie di Grana, episodio undici.

Undici è figo.

11” si scrive due volte “1”, come se fosse doppiamente numero uno. È il primo numero palindromo. È il numero di giocatori di una squadra di calcio. È il numero di Gigi Riva, mito dei cagliaritani e persona da stimare per me in particolare (ho iniziato a tirare i primi calci alla “scuola calcio Gigi Riva”). È il numero della missione Apollo che è sbarcata sulla Luna, così come io son sbarcato negli States.

Ed è pure l’ultimo episodio di questa stagione delle “Scaglie”.

Ci sarebbero 180 cose da dire, ma ho quindi deciso di prendere gli undici punti più importanti di quest’anno e scrivere di loro.

  1. Soccer. Partiamo proprio dal calcio. Se son qui è solo grazie al fatto che so giocare a pallone. Ne ho parlato tanto durante gli articoli, e resto dell’idea che sia diverso ma da scoprire. Ha sempre più appeal: quando Zlatan ha esordito in MLS, nella squadra avversaria c’era un ragazzo che l’anno scorso giocava in college. Passare da marcare Giuseppe Granara a marcare Zlatan dev’essere stimolante.
  1. Studio. La scuola non è importante. È fondamentale. Se non sei in linea con gli esami perdi l’eleggibilità, cioè il permesso di giocare. L’università americana è più facile che in Italia, ma non significa che ci si può grattare. Stare sempre un giorno in anticipo sulla tabella di marcia è la chiave per godersela senza annaspare.
  2. Inglese. All’inizio era strano: l’inglese non mi ha mai fatto impazzire. La settimana scorsa, però, è successa una roba strana. Ero in camera e ho chiesto a Ciccio, il mio compagno di stanza, se potevo staccare il suo caricatore. “May I take it off?” gli ho detto. Lui mi ha guardato malissimo, si è quasi offeso che avessi usato l’inglese invece del nostro bellissimo italiano. Altro esempio: stavo scrivendo un messaggio a mia sorella, e ho scritto “invidiosità”. Non mi suonava bene, ma sapete quanto ci ho messo a ricordarmi che si dicesse “invidia”? At least twenty minutes. Però mi sento “cool” quando sento i pezzi di Drake e li capisco senza lyrics.
  3. Scaglie di Grana. Le metto al punto quattro perché è il mio numero preferito. Son state un progetto divertente, utile, e interessante. Ho sempre scritto post su FB, ma farlo con l’idea che potessi raggiungere anche gente che non mi conosce è stimolante. Quindi, se stai leggendo e sei mio amico, piazza un like e condividi. Se sei un lettore ma non ci conosciamo, grazie a te, e spero ti sia piaciuto leggermi (e ora piazza ‘sto like e condividi).
  4. Cibo. Non c’è molto da dire. Fa abbastanza cagare.
  5. Cultura. Chiaramente, la cultura è diversa. Se non lasciate la mancia vi insultano, ma vi insultano anche se non li salutate per strada. “E chi ti conosce?” penserete voi. Sbagliato. Qua sono come le formichine che si danno il cinque quando si incontrano, o come i conducenti degli autobus che si salutano sempre quando si incrociano: in America non importa se conosci la persona che ti attraversa la strada, lo devi salutare a prescindere.
  1. Momenti. È stato, ovviamente, un anno molto emozionante. Un sacco di bei momenti: esordio, primo gol, primo cartellino rosso per aver tirato una stecca a gioco fermo (ah no questo è stato un momentaccio), spring break, i sabati sera…ma ci sono anche periodacci. Arriveranno i giorni in cui sei stanco, sei stufo di tutte queste ciabatte e tutti questi hamburgers, stai male e non c’è tua mamma o tua sorella a portarti un bicchiere d’acqua a letto. Tutti questi giorni arriveranno. E saranno uno schifo. Quando passano, però, sei ancora più felice. Per aspera ad astra, direi.
  1. Esperienza. Nessun dubbio a riguardo: se me lo chiedessero altre mille volte, rifarei la mia esperienza. Tutta dall’inizio. Non credo sia possibile spiegare in poche parole cosa sia, quindi non ci proverò neanche. Fatevi bastare che è una figata.
  2. Ragazze. Lo so, “tira più un pelo di…”. Non voglio diventare volgare o eccessivamente informale. Ragazze, ma anche ragazzi, vengono negli States da ogni parte del mondo. Questo significa che c’è chi viene dall’Europa e chi dal Sud America, chi è alto e chi è basso, chi atletico e chi ha il fisico da sollevatore di polemiche… e no, non vi dirò altro.
  1. Famiglia. Fondamentale. Perlomeno per me. Sempre al mio fianco, anche quando non eravamo d’accordo. Sempre pronti a consolarmi quando serviva, sempre pronti a incoraggiarmi. Capirete quanto casa è importante. E casa per me sono anche i miei amici stretti, quelli che ci son sempre stati e che sono i primi a leggermi e chiedermi come va (sì Marti, sto parlando principalmente a te. Sistema la frizione della macchina che mi devi portare a spasso. Ci vediamo presto!)
  2. Nuovi amici. “Ma come, hai appena fatto una sorpresa alla tua migliore amica, salutandola senza che lei sapesse niente, magari si è commossa, e parli di nuovi amici?”. Haters gonna hate. In realtà, quando vai a vivere fuori scopri nuove persone, nelle quali cerchi quello che ti manca. E alcuni di loro diventano proprio compagni di avventura. A maggio Sam viene a trovarci in Italia, a giugno andrò io in Croazia dalle mie due pallavoliste preferite, l’anno prossimo sto già pensando a Berlino e a Lorien. Ho vissuto con loro l’anno più diverso della mia vita, quello dove mi son “rinnovato” di più. E mi mancherà parecchio tutto questo. Ma la cosa più incredibile del terzo millennio ci aiuta. È sempre presente, ne ho sempre scritto: internet, skype, whatsapp. Tutte queste cose rendono il mondo piccolo. Uno spazio piccolo.Un pezzettino.Una scaglia.

    PS: non posso non dire grazie a Football Scouting per l’opportunità di scrivere questa rubrica e per lo spazio che mi hanno dato, e a USA College Sport per il loro lavoro con noi giovani sognatori e per avermi permesso di volare dalla Sardegna all’America.

    E grazie a voi che mi avete letto.

    A presto, Giuseppe