In una settimana costellata da polemiche infernali, dovute all’arbitraggio di Rocchi in Juventus-Roma, il sottoscritto proverà a parlare di calcio, quello giocato, non quello da “Bar dello Sport”. Basta diatribe, dunque, anche perché poi diventa increscioso discutere sempre delle stesse cose. Parliamo di derby, vi va? Ecco, la parolina scritta e proferita in inglese ha questo significato: “Nel corrente uso giornalistico e popolare, si definisce derby una partita di calcio giocata tra due squadre della stessa città. Per estensione, il termine derby può poi indicare un incontro molto sentito fra squadre con accese rivalità agonistiche”.
Niente di nuovo, dunque, il derby è quel match che non può essere perso per nulla al mondo, onde evitare sfottò di vario genere che, in alcuni casi, oltrepassa anche il limite del rispetto. Vi sono molte “partite sentite”, tipo Boca Junior-River Plate, nelle quali nessun allenatore, calciatore deve scendere in campo convinto che sia un incontro come tutti gli altri. Nel derby non c’è in palio solo l’importanza della vittoria, i tre punti, l’ipotetica qualificazione, ma ben altro. E’ una cosa che non si può spiegare se non si vive. Il derby è la partita delle partite, quella dell’orgoglio a difesa di una maglia che va onorata e rispettata ogni giorno che passa.
Le stracittadine non si giocano al 40% altrimenti si sbaglia. Il derby, anche in un torneo amatoriale, coinvolge, esalta, provoca tensioni (sportive e non) perché va vinto, in modo da far capire, in modo definitivo, all’avversario, chi comanda in città o in regione. In un derby, 90 minuti sono molto lunghi mica è una partita di briscola…
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