Rosarno è una piccola cittadina in Calabria, sita in provincia di Reggio Calabria.
È balzata all’attenzione delle cronache per l’alto numero di migranti che la città calabrese raccoglie soprattutto durante il periodo invernale, per la raccolta stagionale delle arance.
Rosarno è un paese che vive una difficile situazione. Ogni anno è altissimo il numero di migranti che si affacciano nel paesino calabrese, ma i giovani africani che arrivano, trovano spesso una situazione molto difficile, tra sfruttamento e influsso molto forte della ‘Ndrangheta. I migranti vengono occupati principalmente nella raccolta delle arance, la paga per loro è misera, si parte dai 0,50 centesimi a cassetta e si può arrivare nei casi migliori a ottenere una paga fissa di 30 euro al giorno. Nonostante i “nuovi” abitanti di Rosarno siano spesso forniti di permesso di soggiorno, non riescono a trovare un contratto regolare e molte volte perdono così il loro permesso per vivere in Italia, finendo così purtroppo in una situazione difficile.
La maggior parte dei migranti vivono tra i comuni di Rosarno e San Ferdinando, i più fortunati in dei container messi a disposizione da un’associazione religiosa, altri nelle tendopoli costruite cinque anni fa dal governo a San Ferdinando, mentre i più sfortunati si organizzano in fabbriche abbandonate con qualche tenda o dei materassi.
In queste zone dimenticate dall’amministrazione dello stato, i giovani migranti spesso per occupare il tempo nei giorni di assenza di lavoro, si divertivano con il calcio, quattro palleggi tra amici, una partita per riportare un po’ di sorrisi.
Nel 2013 però grazie a un progetto della parrocchia di Sant’Antonio da Padova sita nella frazione Bosco del comune di Rosarno è nata la prima squadra di calcio formata interamente da calciatori migranti. I calciatori della Koa Bosco, così è stata chiamata la squadra, sono tutti migranti provenienti dagli accampamenti di San Ferdinando e dai container della zona industriale di Rosarno. Con questa squadra i giovani africani hanno ritrovato un loro piccolo riscatto e dato un calcio al razzismo e allo sfruttamento che spesso subiscono nelle zone in cui lavorano. L’idea portata avanti da don Roberto Meduri, parroco della frazione di Bosco ha come obiettivo il riscatto dei migranti presenti nelle frazioni calabresi, don Meduri mente di questa iniziativa ha dichiarato in merito a lettera43.it: «Non è stato facile, ma io ci ho creduto fin dall’inizio perché gli aiuti come cibo o vestiti sono fine a se stessi, per quanto utili, mentre questo progetto avrebbe fatto uscire fuori questi giovani, avvicinandoli alla società e aiutandoli a sentirsi cittadini. Anche tra loro c’era scetticismo e un po’ di paura, perché l’idea di esporsi troppo li faceva sentire vulnerabili. Oggi sono contenti, e lo sono anch’io con loro. In parte si sono ripresi la loro dignità e si sentono orgogliosi quando la gente li saluta per strada».
Ora la squadra milita in terza categoria e nonostante le difficoltà siano tante, tra gli allenamenti da incastrare con il lavoro dei migranti, la ricerca di fondi, l’ostracismo della parte “malata” della Calabria, i ragazzi della Koa Bosco stanno riuscendo a dare al mondo un segnale splendido, di integrazione, di forza e di positività. Nonostante i migranti vivano in una situazione al limite, ogni volta che scendono in campo dimenticano i loro problemi e abbattono quel muro di ignoranza che spesso porta a fattacci come quelli successi nel 2010.
La Koa Bosco è arrivata ormai alle attenzioni dei grandi media, che hanno spesso dedicato servizi allo splendido progetto nato a Rosarno. I calciatori e la società sono stati ospiti della Juventus, sono stati anche premiati per l’importante lavoro di integrazione fatto e in questa stagione calcistica stanno anche ottenendo splendidi risultati sportivi.
Pensiamo quindi ogni tanto, quando incontriamo un migrante, che non sia solo uno “straniero” che può scombinare il nostro orticello “perfetto”. Pensiamo che chi scappa dal proprio paese lo fa per cercare un futuro migliore e che non deve subire una vita al limite della decenza e pensiamo che gli esempi da seguire sono quelli di don Roberto Meduri, di Mimmo Mammoliti, mister della Koa Bosco, di Domenico Bagalà, team manager della squadra e di tutte le persone che a Rosarno e San Ferdinando stanno vicino a questi ragazzi e cercano in tutti i modi di non abbandonarli alla ‘Ndrangheta e di trovare per loro una via del riscatto e dell’integrazione, come è stato il progetto Koa Bosco, che finalmente è riuscito a ridare dignità a una comunità di migranti che ha subito troppe ingiustizie in questa Italia senza memoria.
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