Il calcio non è stato sempre come quello che conosciamo oggi. Non c’erano dirette televisive con le telecamere che entravano direttamente negli spogliatoi. Soprattutto non c’erano le tv tematiche, che hanno il bisogno di sparare in faccia a telespettatori inebetiti qualsiasi cosa che si avvicini al calcio, senza però quasi mai parlare di pallone. Negli anni ’80 lo sport più bello del mondo era in una specie di limbo. Non aveva ancora i riflettori addosso 24 ore su 24, ma si apprestava a farlo. Sulle magliette iniziavano ad apparire gli sponsor, finanziatori sempre meno occulti dell’attività sportiva delle società. I calciatori iniziavano ad essere divi, amati dalle ragazzine ed idoli dei ragazzini, ma erano meno impomatati di oggi e non avevano bisogno di restare a terra dopo un fallo per lasciare spazio al mini spot televisivo. Le formazioni delle squadre si recitavano a memoria, come le tabelline, ed il turn-over era un termine di fatto sconosciuto.

Album 84-85

Fonte: lucadinunzio.com

In quell’epoca fatata, era ancora possibile che piccole squadre si inserissero nella lotta con le grandi. Non erano i bilanci a fare la differenza, ma le qualità tecniche e quelle umane. È così, quasi per caso, che nella 1984/85 nasce una leggenda chiamata Verona.
Tre anni prima gli scaligeri militavano in serie B. Non appena approdati nel massimo campionato, si inserirono subito tra le grandi conquistando, negli anni precedenti, persino un posto in Europa nella tanto ambita Coppa Uefa. Principale artefice della crescita esponenziale dei giallo-blu fu Osvaldo Bagnoli. Il tecnico nato a due passi da Milano, era il classico personaggio di origini settentrionali. Silenzioso, anche se quando aveva da parlare non le mandava a dire, e dal carattere fermo e battagliero.
Nella stagione precedente il Verona concluse il campionato al sesto posto, ad undici lunghezze dalla Juventus campione d’Italia, e perse la finale di Coppa Italia contro la Roma di Liedholm, Cerezo, Falcao e Di Bartolomei. Per la Roma fu un trofeo di consolazione visto che, qualche giorno prima, aveva dovuto rinunciare al sogno della Coppa dei Campioni cedendo al Liverpool dopo i calci di rigore in uno Stadio Olimpico gremito. Il giorno di quella finale Falcao si rifiutò di battere dagli undici metri, segnando una dolorosa frattura (anche in seno alla società) col capitano Di Bartolomei, che la stagione successiva andò via da Roma. Questa, però, è un’altra storia…

Verona

Elkjær e Briegel.
Fonte: tgcom.it

Torniamo al Verona: nell’estate 1984 la campagna acquisti fu molto accesa ed interessante. A rinforzare la squadra giallo-blu arrivarono il tedesco Briegel (mediano adattabile in difesa) ed il danese Elkjaer, robusto attaccante reduce da un ottimo Europeo. Il Milan prese Hateley, l’Inter Rummenigge, la Fiorentina Socrates, il Torino Junior, la Sampdoria un giovane riccioluto di nome Gianluca Vialli, mentre il Napoli fece il colpaccio Maradona.

Ai nastri di partenza del campionato, l’Inter partiva come favorita. Causio, Sabato, Brady, Collovati, Altobelli ed il già citato Rummenigge, apparivano come la squadra più attrezzata del campionato. La Juventus di Platini e Boniek, invece, sembrava più concentrata a raggiungere l’obiettivo della Coppa Campioni. Il Torino di Dossena e Junior sembrava essere capace di inserirsi nella lotta in testa, mentre la Fiorentina di Socrates e Passarella sapeva bene di poter regalare un buon calcio, ma di non potersi inserire nella lotta per lo scudetto.
La prima giornata regalò uno scontro particolare: a Verona si gioca la sfida tra la probabile outsider del campionato e la regina del mercato. Tutti gli occhi erano puntati su Maradona, ma la vittoria fu del Verona per tre reti ad una. È l’inizio di una cavalcata emozionante. Garella tra i pali, con Volpati, Marangon, Fontolan e Tricella si rivelano un pacchetto difensivo affidabile; Briegel, mastino di centrocampo col vizio del gol, stava accanto a Di Gennaro, il metronomo sempre pronto ad imbeccare il veloce Fanna sulla fascia; la coppia Galderisi-Elkjaer perfetta: “nano” veloce e sgusciante, il danese pesante e forte di testa.

Gazzetta Dello Sport

Gazzetta Dello Sport 22/10/84

Il Verona di quell’anno appare da subito la classica squadra sorpresa da cui ti aspetti da un momento all’altro un tracollo verticale. Dopo la vittoria sul Napoli, invece, seguono Ascoli ed Udinese, superate con relativa facilità. Alla quarta giornata, il primo banco di prova: San Siro contro la corazzata Inter guidata da Castagner. Al novantesimo è 0a0, ma la stampa e gli addetti ai lavori giustificano il passo falso dei nerazzurri con il rodaggio necessario alla nuova guida tecnica. Il Verona prende la testa della classifica per non abbandonarla praticamente più. Il 13 Gennaio 1985 l’Italia è avvolta da una coltre di neve e gelo. Il Verona dovrebbe giocare ad Avellino l’ultima giornata del girone d’andata, ma l’Irpinia è interessata da intense nevicate da più di qualche giorno. I tifosi della squadra campana non vogliono che la partita venga rinviata, anche perché gli scaligeri (provenienti da due pareggi consecutivi) non vivono un bel periodo ed allora si mettono a spalare la neve dal terreno di gioco del Partenio nei giorni che precedono la gara. L’Avellino trionferà per due a uno, ma la squadra di Bagnoli riuscirà lo stesso a laurearsi campione d’inverno, complici la sconfitta del Torino contro la Roma all’Olimpico ed il pareggio dell’Inter ad Ascoli. La settimana successiva il Verona impatta zero a zero al San Paolo, l’Inter fa suo il derby con l’Atalanta. Alla prima giornata di ritorno la classifica recita: Verona ed Inter 23 punti, Torino e Roma 21.  Quello che sembra l’aggancio decisivo, però, si rivela essere un episodio. La settimana successiva il Verona è di nuovo da solo in vetta grazie al pareggio dei nerazzurri sul campo del Partenio.
Inter e Verona viaggiano vicini in classifica fino all’ottava di ritorno, quando gli uomini di Bagnoli battono agevolmente la Cremonese in casa, mentre l’Inter ne prende 3 a Torino contro la Juventus. La squadra di Castagner molla praticamente la presa, perdendo anche il turno successivo nella trasferta di Udine.

Bagnoli, Verona

Fonte: Wikipedia/Duccio Fumero

Il Verona di Bagnoli a questo punto non deve far altro che mantenere le distanze. Alla venticinquesima giornata i gialloblu compiono un passo falso perdendo 2 a 1 in casa contro il Torino. Ne approfittano Inter, Juventus, Sampdoria e lo stesso Torino, che inseguono a 4 distanze di lunghezza. La giornata successiva gli scaligeri non vanno oltre l’uno a uno contro il Milan a San Siro. Ad inseguirli a tre punti di distanza restano soltanto Torino e Sampdoria, che battono rispettivamente Lazio ed Avellino. Mancano quattro giornate al termine del campionato. La domenica successiva la Sampdoria perde ad Avellino e molla definitivamente la lotta per il primo posto, il Torino pareggia a Como ed il Verona ne approfitta vincendo col minimo scarto contro la Lazio. Sembra la fuga decisiva. A due giornate dal termine, il 12 maggio 1985, al Verona basta un pareggio in casa dell’Atalanta per vincere lo scudetto con due giornate d’anticipo.

Verona, Gazzetta

Verona Campione, Gazzetta

I bergamaschi passano in vantaggio, ma al 51° minuto Galderisi stoppa una palla in area per l’accorrente Elkjaer. Il danese con un bel sinistro infila Piotti ed al Verona non resta che soffrire fino al triplice fischio.
Bagnoli ed i suoi uomini vengono portati in trionfo, protagonisti di una favola a lieto fine.

Il tecnico di Milano non riuscì più a ripetersi, lasciando che lo scudetto dei miracoli del suo Verona rimanesse l’unico della sua carriera. A partire dall’anno successivo, la squadra campione d’Italia venne lentamente smantellata e non seppe riconfermarsi a quei livelli. Anche l’avventura in Coppa dei Campioni durò pochissimo, visto che gli scaligeri vennero sconfitti al primo turno dalla Juventus campione in carica. Al termine di quella partita, si narra che Bagnoli dichiarò: “Se cercate i ladri, sono nell’altro spogliatoio”. Era decisamente un calcio diverso, che forse mai più ritornerà. Un calcio capace di raccontare favole che oggi non possono esistere più, fatto di miti che rimarranno impressi nella memoria degli appassionati. Fatto di uomini come Bagnoli e non di personaggi con le esultanze costruite per fare audience in tv. Uno sport che forse era meno spettacolare, ma che sapeva regalare emozioni che invece oggi sembriamo quasi incapaci di provare ancora.