Chi di noi ha ancora ben impresse le gesta dei talentuosi quanto estrosi numeri 10 del passato? Chi di noi ha mai sognato di posseder quelle innate facoltà e doti tecniche capaci di far innamorare milioni e milioni di tifosi? Per i più nostalgici, sarebbe facile rispondere con estrema naturalezza a tale quesito sebbene nel calcio come nella vita, la distinzione dei ruoli ha da sempre avuto una valenza significativa, la stessa che per meriti o demeriti personali, spesso ci caratterizza e contraddistingue non solo sotto svariati profili professionali, ma anche in base all’ambizione di saper dimostrare il riconoscimento del proprio valore. Ma se c’è un ruolo in questa dimensione che ha fin da sempre carpito la nostra attenzione avvalorando l’orientamento per cui spesso questo sport non possa essere semplicemente adducibile al novero di definizioni comprese sotto la voce “è solo un gioco” è il numero 10, un ruolo capace di far sognare intere generazioni. Proprio l’evoluzione tattica delle diverse generazioni, ci permette di poter constatare a malincuore quanto oggigiorno le caratteristiche del numero 10 – che dapprima rappresentavano un requisito quasi imprescindibile per potersi fare portavoce di questo sport – stiano sempre più svanendo. Ma perché le nuove schematiche e rigide metodologie di lavoro tecnico-tattiche stanno via via avendo il sopravvento sull’aspetto creativo ed estroso che sta alla base di questo sport? Andiamo a vedere le probabili cause.
Tatticismi e un calcio sempre più fisico e muscolare, elementi che frenano il talento del numero 10
Che il calcio di oggi sia decisamente improntato su una sempre più rigida incanalatura su precisi schemi tattici non rappresenta più una novità. Certo, oggigiorno una delle richieste che accomuna la maggior parte delle pretese di tanti allenatori è proprio quella della duttilità e versatilità tattica, permettendo cosi alle varie guide tecniche di potersi districare con diversi moduli in base alle specifiche e temporanee esigenze. Ma non si corre il rischio di formare giovani profili, sì funzionali al calcio moderno, ma via via sempre più inadeguati o incompleti ad elevarsi come leader tecnici e carismatici capaci di decidere le sorti di un match? L’ennesimo esempio lampante potrebbe essere ravvisato nel fatto che nel calcio moderno, le qualità da 10 ormai sono spesso riscontrate in profili che inglobano si quelle grandi doti, ma non le elevano a punto forte del loro repertorio, limitandosi spesso a somministrarlo in limitate giocate, prediligendo aspetti magari più cinici come la corsa e l’intensità. Il nostro movimento calcistico rappresenta purtroppo la piena dimostrazione di quanto oggigiorno manchi disperatamente colui che incarni appieno lo spirito calcistico colmo della fantasia necessaria per farci risalire nelle gerarchie, ma ancor di più, farci ritornare quella sana voglia di assistere ad uno spettacolo in campo, senza esser condizionati dal sempre più prepotente marketing che influenza e non poco le scelte societarie soprattutto sugli investimenti, a discapito dei settori giovanili.
Il numero 10 nel pallone: duttilità e versatilità, elementi chiave nel calcio moderno
Esterni offensivi che non possono più essere esenti da compiti difensivi, quinti di centrocampo soggetti a continui sali e scendi su tutta la loro fascia di competenza, braccetti difensivi che si dilettano e propongono anche in fase offensiva spesso anche con qualità, visto che oramai, le doti balistiche non rientrano più esclusivamente nel novero di giocatori che occupano stabilmente porzioni offensive nei campi di gioco, per non parlare della sempre più richiesta “adeguata struttura fisica”, elemento che oggi rappresenta quasi un fattore imprescindibile da cui ci si fa fatica a discostarsi del tutto. Sarebbe da ipocriti sminuire questo aspetto attinente e strettamente correlato alla fisicità quanto alla rinomata duttilità, ma davvero sembrano esser diventati degli elementi quasi incontrovertibili a cui dover sottostare? Se da un lato abbiamo una giovane leva calcistica sempre più pronta da un punto di vista strutturale, adatta per non patire il salto nel mondo dei professionisti, appare logico pensare che purtroppo tanti di questi fattori sopraelencati non fanno altro che prevaricare sull’aspetto puramente tecnico e fantasioso di un qualsiasi profilo che si voglia considerare, lasciando ben poco spazio all’estro illuminante capace di scardinare le ponderate schematiche tattiche. L’aspetto tattico è senz’altro fondamentale, ma altrettanto lo dovrebbe essere quello di cercare di non ingabbiare il talento in rigidi schemi tattici che non collimano affatto con i dettami incardinati dall’estro e dell’imprevedibilità, rendendolo in questo modo di difficile collocazione in campo, snaturandolo fino a non renderlo più il vero valore aggiunto alla squadra capace di spostare gli equilibri.
Calcio e numero 10: i possibili motivi di questa carenza di fantasia
Basterebbe assistere a tanti degli allenamenti a cui sono sottoposti questi giovani ragazzi per renderci immediatamente conto che potrebbero essere molteplici e svariati gli aspetti da smussare. Se l’ottima e idonea condizione atletica rappresenta un quid da cui necessariamente porre le basi, ugualmente dovrebbe esserlo anche quello di riuscire a saper allenare la capacità di dettare i tempi di gioco, cogliere in anticipo gli spazi lasciati colpevolmente liberi dalle difese avversarie, percepire prima di tutti un movimento smarcante del proprio compagno, cosi come la capacità di mettersi anche sfacciatamente in proprio e tentare di decidere da soli le sorti di un match. Suddette qualità rischiano di non rappresentare più la base di partenza da cui poi poter pian piano attingere e costruire le solide fondamenta di una rosea carriera.
I dieci nel calcio: il pallone al centro di tutto
Le scuole calcio che da sempre hanno avuto un ruolo chiave nella crescita di giovani profili, si stanno sempre più evolvendo fin quasi in certi casi a perdere di mira la vera essenza del calcio. Inconcepibile come un ragazzino possa aver il pallone fra i piedi per un arco di tempo ben limitato all’interno di una seduta di allenamento; inconcepibile come l’atletismo per quanto importante possa indiscutibilmente soppiantare tutte le altre caratteristiche erroneamente reputate secondarie; inconcepibile la pretesa di veder sbocciare giovani talenti se la dimestichezza, la sensibilità e il tocco palla non vengono più visti come essenziali nella crescita di una giovane risorsa; inconcepibile come nonostante per definizione, il calcio sia un gioco di squadra, giovani ragazzini vengano ripresi perché non cooperano attivamente con tutta la squadra, togliendo entusiasmo, fantasia, libertà di esprimersi secondo le proprie caratteristiche, finendo per confluire in un unico stereotipo che raggruppa le medesime peculiarità nella gran parte dei ragazzini. L’importanza delle scuole calcio nonostante tutto resta primaria, ma è pur vero che un ragazzo dovrebbe metterci tanto del suo, poiché se davvero ci si auspica un netto e progressivo miglioramento, sarebbe quantomeno opportuno entrare nell’ottica di coltivare in strada, prima che sul campo il proprio talento, non limitandosi al mero compitino svolto durante le sedute di allenamento.
La fine del 10: tra mancanza di investimenti e strutture inadatte
A contribuire a questa involuzione, collabora senz’altro il processo di industrializzazione di tante città, la quale ha indubbiamente comportato la sempre più quasi desertificazione di aree, strade e luoghi aperti finalizzati ad esprimere la propria indole calcistica, ormai sempre più limitata e vincolata ai veri e propri campi da gioco. A ben vedere, sembrerebbe quasi che tale “aridità territoriale” si evolva di pari passo con la sempre più ingombrante carenza di estro e fantasia che tanto qualificava le vecchie generazioni di calciatori, un processo sempre più irrevocabile visto che tale trend negativo di certo non si appresta ad arrestarsi. A tale situazione si aggiunge la sempre più escalation che sta portando ad investire sempre meno nei settori giovanili e in idonee strutture formative, tutti inequivocabili elementi che indirizzano e cooperano ad affermare questo decrescente andamento generazionale di talenti.
I numeri 10 del passato “giganti” solo sul campo
“Non vorrei mai che la Juventus ritirasse la mia maglia numero 10, dev’essere indossata e non ritirata. Non vorrei mai togliere assolutamente la speranza e il sogno a tantissimi ragazzini di poter vestire un giorno quella maglia”; recitava cosi ormai più di 10 anni fa la storico e iconico capitano bianconero Alessandro Del Piero nel giorno del suo ritiro dal calcio giocato, una frase che riecheggia ancor oggi, perché quel numero, talvolta include sotto di sé tantissime ragioni che spingono molti ragazzi a coltivare questo sogno. Un numero che dà sempre investe colui che lo indossa di un ruolo ben diverso da tutti gli altri, non un ruolo qualunque, bensì IL ruolo, il leader tecnico, semplicemente “il più forte” come avremmo ripetuto milioni di volte da piccoli, un ruolo che evoluzione tattica o meno non può estinguersi perché in uno scenario simile a rimetterci non sarebbe più un club, bensì un’intera generazione di ragazzi che vedrebbe svanire, sfumare il sogno di deliziare con giocate funamboliche i propri tifosi, giocate che da sole valgono l’intero prezzo del biglietto, perché è proprio di questo che il vero tifoso si nutre, si appassiona fino all’identificarsi totalmente con questo sport. Riportare in alto il movimento calcistico è diventata più che una semplice prerogativa visti i recenti e sconfortanti risultati, tesi che porta di conseguenza ad un’unica e indiscussa conclusione: valorizzare e sgrezzare il talento racchiuso sotto i muscoli, per divertirsi e farci divertire e magari risollevare le sorti del nostro movimento calcistico.
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