Enrico Maria Amore, ex calciatore professionista ed oggi talent scout, in una lunga intervista rilasciata a Tmw, ha espresso la propria opinione riguardo il discorso dei troppi stranieri nel Campionato italiano, una delle cause della mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali 2018.
“Tutti parlano della colpa degli stranieri per la mancata qualificazione ai mondiali e la mancanza di fiducia che si dà ai nostri giovani. Io vado controtendenza, intanto facciamo una valutazione con dati di fatto e non discorsi da Bar. Ultimo mondiale vinto dall’Italia è stato nel 2006, tutti guardano quell’anno o poco prima quanti stranieri, chi giocava e cosa si faceva. Io invece, faccio una valutazione e chiedo a tutti gli scienziati del calcio, quale era l’età di nascita di quei giocatori”.“Vi dico io – continua – sono nati dal 70/80, sapete quando sono stati formati?? Nel 90’ quando ancora vigeva la regola di chi era più bravo giocava. Nel 99’/2000’ è cominciata la prima regola di 1 Under, poi 2 , poi 3 poi 10 fino a quando chi paga gioca.. Allora non ci lamentiamo se dopo quel mondiale non abbiamo più conseguito risultati fino ad arrivare all’esclusione dalla qualificazione. Una volta nella Rapp. Serie C c’erano giocatori come Montella, Giannichedda, Birindelli, Ametrano possiamo continuare all’infinito”.
“La colpa che si vuole dare agli stranieri è solo un alibi per dare colpe alle proprie mancanze, quali, poca qualità nelle varie figure tecniche e dirigenziali. Se si vuole parlare di stranieri con poca qualità sono d’accordo, ma qui subentra la responsabilità di chi li prende. Negli altri paesi, Germania, Francia, Belgio, Portogallo c’è la liberalizzazione, ci sono molti più stranieri che in Italia, ma alla luce dei fatti, hanno avuto più risultati di noi“.
“Io vado in giro sui campi e noto una costante soprattutto nei settori giovanili, gli allenatori si soffermano la maggior parte del tempo a spiegare la tattica ai ragazzi non osservando che la maggior parte di loro, non sà fare né un passaggio, nè calciare in porta. Cominciamo a far diventare un lavoro per gli allenatori delle giovanili, invece di chiamare i tappabuchi che dedicano solo 2 ore di allenamento al giorno. Eliminiamo le classifiche nelle giovanili e obblighiamo agli allenatori di insegnare la tecnica invece della tattica. Cominciamo a dare contributi a chi ha strutture di proprietà, è inutile dare contributi per far giocare i ragazzi che non crescono. Eliminiamo la valorizzazione dai club, i presidenti della serie C non interessa quale caratteristica ha il centrocampista, interessa solo se è valorizzato. È inutile costringere a schierare ragazzi per farli diventare calciatori, mettiamoli in competizione, e diamo tempo che facciano – conclude – il loro percorso di crescita”.
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