La redazione di Football Scouting ha avuto il piacere di intervistare uno degli allenatori più promettenti in circolazione e stiamo parlando di Pietro Pacilio. Il tecnico attualmente svincolato, dopo l’esperienza al Comprensorio Vairano, cha avuto modo di raccontaci a 360 gradi la sua carriera prima da calciatore e poi da allenatore e del suo rapporto con i giovani talenti.

1) Come nasce questa tua vocazione per allenare? L’avevi anche da giocatore?

“È una vocazione che ho avuto sempre da giocatore, poi a 27 anni avevo deciso di smettere e ad ottobre la squadra del mio paese che partecipava all’Eccellenza mi aveva offerto la panchina. Si trovava in difficoltà e subito ho accettato. Stiamo parlando ormai di 3 anni fa e fu la mia prima esperienza in panchina ed era andata anche molto bene. Raggiungemmo la Salvezza che sembrava in quel momento insperata e la semifinale della Coppa Italia per la prima volta nella storia. Vincemmo per la prima volta il Derby contro il Tre Pini che non era mai successo.”

2) Con quale club calcistico ti sei maggiormente legato da calciatore?

“Sicuramente la Viterbese, dove ho fatto il settore giovanile, anche se non ho mai avuto l’occasione di esordire in Prima Squadra quando avevo 16 anni. Stessa cosa anche al Benevento, a cui sono molto legato perché sono cresciuto come uomo insieme a loro. A livello di Prime Squadre molto con l’Alife, perché giocare con la squadra del proprio paese è sempre un emozione che non ti danno altre squadre.”

3)Parlaci delle tue prime esperienze d’allenatore, cosa ti hanno lasciato?

“Ho avuto la fortuna di allenare l’Alife, poi ho fatto una collaborazione con il Tre Pini e anche allenatore dell’Under 17 e l’anno scorso con il Comprensorio Vairenese. La prima è stata subito affrontare a 360 gradi tutte le difficoltà per gestire un gruppo. La seconda è stata un piano di crescita per me, perché mi ha fatto confrontare con un ottimo allenatore come Romagnini. Un allenatore con grande esperienza, avendo fatto più di 300 partite in Serie D. Quella dell’anno scorso è stato un banco di prova e dal punto di vista dei risultati l’avevo anche superata. Poi ci sono state altre vicende che hanno portato al mio esonero a novembre e che bisogna accettare e fanno parte di un percorso della carriera.”

4) La tua avventura in Eccellenza con la Comprensorio Vairanese è terminata probabilmente troppo presto. Come ti sei spiegato questo esonero?

“Sono cose che succedono nel calcio, forse conta anche l’approccio ai risultati. Ci sono state delle particolari dinamiche. Secondo me una parte della società non aveva accettato che non era stato confermato il vecchio allenatore. Infatti appena mi hanno esonerato, avevano subito richiamato lui. Forse non riuscivo a dare il giusto equilibrio all’ambiente, visto che la gente voleva il vecchio allenatore.”

5) A causa del Coronavirus diversi club di Serie D non potranno iscriversi al prossimo campionato, che futuro vedi per il calcio dilettantistico?

“Ci sarà sicuramente un ridimensionamento dei costi, ogni società avrà difficoltà. Anche in questo periodo bisognerà essere bravi e fortunati ad avere sponsor. Tutti sono in difficoltà e ci sono meno introiti. Bisognerà abbassare il numero di Under, io punterei molto nel fare il percorso per obbligare una squadra a far giocare almeno un Under dal settore giovanile o avere residenza nel paese della squadra. Invece che far giocare quattro Under, che poi questi ragazzi smettono quasi di giocare al termine del percorso.”

6) Cosa ne pensi dei tanti ragazzi dei settori giovanili che fanno fatica a trovare spazio nelle categorie inferiori? Te che rapporto hai con i giovani talenti?

“Quando iniziai la collaborazione con il Tre Pini nel gennaio 2019, c’era un ragazzo del 2003 che aveva 15 anni. Parlai con il ds e dissi che questo è bravo. Penso che nel calcio non bisogna vedere la carta d’identità, se un giocatore è bravo non importa l’età. Se un ragazzo di 17-18 anni non riesce a giocare in Eccellenza e se non ci sono regole che favoriscano il suo utilizzo deve studiare. Ora invece un portiere di 18-19 anni avrà 100 chiamate dalla Serie D e può essere che lasci anche gli studi e poi tra 2 anni non avrà nemmeno una chiamata dall’Eccellenza.”

7) Descrivici lo stile di gioco di una squadra di Pietro Pacilio. Sei più per un gioco offensivo o più equilibrato?

“Io la prima parola che uso in una Prima Squadra è equilibrio, se non c’è quello è molto difficile fare risultati. A me dicono che sono un difensivista, tra l’altro l’anno scorso al Verano mi hanno creato la difesa meno battuta d’Italia, avevamo anche 2 Under dietro molto validi. Non ti dico che giochiamo con 3-5-2 o 4-3-3, dipende dalle caratteristiche dei giocatori. Sono loro che vanno in campo, l’allenatore può portare un 20-25%. A mio modo di vedere è molto più difficile che i giocatori si possano adattare uno schema. Noi dobbiamo fare in modo che loro sbaglino di meno dando i giusti consigli.”

8) Hai ricevuto offerte di mercato in questi mesi?

“Ho avuto un’offerta da una squadra in Eccellenza ed ho un approccio con due settori giovanili. Però non so se partirò da inizio stagione quest’anno, perché a settembre la mia compagna mi regalerà una figlia e quindi credo di aspettare un pò.”

9) Accetteresti una proposta di un settore giovanile di un club professionistico? Oppure preferiresti allenare solo prime squadre?

“Io a livello dilettantistico punto sempre ad allenare le prime squadre, perché divido gli allenatori in due tipi. Gli allenatori istruttori che sono fino ai 12 anni e poi gli allenatori di prima base agonistico fino ai 16 anni e poi invece c’è un altro calcio. Perché è brutto dirlo ma serve risultato ed io mi considero un allenatore da risultato. Accetterei anche un Under 17, una Primavera o una Beretti professionistica o una Prima Squadra dilettantistica, questo è il mio range. Io non mi sento molto portato per i più piccoli, perché sono molto più difficili da allenare rispetto ai grandi e devi essere un istruttore di vita e imparare più i processi tecnici e non pensare al risultato. Spesso gli allenatori delle Under 14 e Under 15 sbagliano perché vogliono salire in base al risultato e questo è sbagliato. La tattica e la fame di risultato fino a 16 anni é quasi inutile, devono esserci le basi tecniche e poi dopo le cose tattiche verranno in automatico.”