Diamanti si è trasferito in Cina, con un’operazione molto particolare, per la prima volta il capitano e leader di una squadra è stato ceduto a mercato italiano chiuso.

Commentare la partenza di uno dei più talentuosi calciatori italiani verso la Cina non è facile. Vedere un calciatore con quel talento partire per andare a giocare in un campionato che di competitivo ha ben poco, è una cosa che lascia tutti a bocca aperta.

La trattativa per portare Diamanti in Cina è stata una di quelle più particolari, una di quelle trattative che solo a sentirle esclami “Non è possibile”, invece in questo calcio, che lascia spazio solo al fattore economico, tutto è diventato possibile.

Parlare di talenti così cristallini e vederli giocare in Cina, in Qatar o negli U.S.A. ti può solo far pensare che il calcio dei valori e delle emozioni è morto ed è stato sostituito da uno sport che mette al primo posto il dio denaro, che relega su un  secondo piano la maglia e le tifoserie, sempre più vittime di un calcio che ha smesso di essere romantico.

Il caso Diamanti è emblematico di come una dirigenza possa mettere in ginocchio una società gloriosa come il Bologna e come un calciatore possa rinunciare a un campionato competitivo e a un sogno mondiale, per inseguire dei milioni in Cina.

Tutti abbiamo seguito la trattativa e ad un occhio critico e attento, non può sfuggire la strumentalizzazione messa in atto dalla dirigenza bolognese; Diamanti registra l’interesse cinese a metà gennaio, tutto sembra pronto, ma il Bologna blocca tutto. Mancherebbero innanzitutto le garanzie del pagamento, inoltre i proventi non potrebbero essere reinvestiti nel mercato, soprattutto senza il talento di Diamanti lo spauracchio della retrocessione potrebbe avvicinarsi e allora altolà, Diamanti resta in rossoblu. Ma succede l’impensabile:  il mercato italiano chiude, il Bologna porta in extremis in Italia un illustre sconosciuto tale Ibson, e tutto si riapre. Si potrebbe pensare all’ennesima bufala giornalista, perché una cessione ora non avrebbe alcun senso, i soldi sarebbero bloccati e la squadra resterebbe senza il suo faro.Guaraldi però ha la spiegazione: “Alino vuole andare via”, Diamanti non parla non risponde, sbagliando anche lui, un capitano, un calciatore come lui deve prendere in mano la situazione, rifiutare i milioni e portare alla salvezza il Bologna, accettare i fischi che ci sono e ci saranno sempre nel calcio, e diventare un vero leader, un vero campione. Ma Diamantiè un calciatore particolare, uno di quelli capricciosi e i fischi non gli scendono giù. L’armonia con il Bologna non c’è più e allora via all’inseguimento di 18 milioni di ingaggio, che sono un enormità, ma che non giustificano e non giustificheranno mai, un emigrazione in Cina, in un campionato che attualmente non può dare nessuna crescita. Diciotto milioni fanno gola, ma tutti questi soldi valgono l’emozione di un mondiale? O una salvezza sudata con una maglia come quella del Bologna? Per noi no, quei milioni non varranno mai la maglia del calcio vero.

Così Diamanti parte, abbandonando il vero calcio e una città che per larghi tratti gli ha voluto bene, mentre dall’altra parte Guaraldi incassa, paga gli stipendi e non reinveste il guadagno sul mercato. Strategia pressoché perfetta, avesse fatto l’affare il 15 gennaio, la tifoseria gli sarebbe stata troppo addosso per un nuovo acquisto. Invece Guaraldi, da questa situazione ne vorrebbe uscire come un paladino, in fin dei conti ha venduto un calciatore che non amava la maglia e da buon dirigente si è tutelato prima che fosse troppo tardi.  Questa storia non regge e come sempre a rimetterci saranno poi i veri tifosi, che vedono il loro Bologna sempre più in basso. Ma questo ai nostri moderni dirigenti non interessa, non combattono per la maglia, combattono per quei conti che sì devono tornare, ma non dovrebbero mai sacrificare la bellezza del calcio, la magia che si respira o si respirava in quel rettangolo verde.

Evidentemente non è più così, e allora ecco vedere arrivare magnati che comprano la qualunque, spendendo e ricapitalizzando in barba al far-play economico, ecco le banche spagnole distrutte dalla crisi, finanziare squadre di calcio, le stesse società oberate dai debiti spendono 95 milioni per Neymar, soldi presi non dai loro introiti ma dagli istituti finanziari che invece di salvare la piccola imprenditoria e la fascia bassa della popolazione, pensano a rifinanziare due squadre, Barcellona e Real Madrid, che in un vero calcio non dovrebbero mai avere questi vantaggi. Ci ritroviamo campionati senza retrocessioni come la nostra attuale Lega Pro, e in seguito vediamo e constatiamo che la Nocerina è stata esclusa, criminalizzando i tifosi, rei di non voler vedere sporcata ancora quella maglia. Ma ai giornali i tifosi non interessano e criminalizzarli è un gioco molto facile, la stampa non va ad indagare sulle malefatte del presidente Citarella che ha distrutto il calcio a Nocera, va solo a mettere alla gogna, i tifosi rei di non aver fatto disputare normalmente, un derby tra Nocerina e Salernitana, che di normale aveva già ben poco. Tanto colpire i maligni ultras che “discriminano” territorialmente gli altri tifosi è facile. In Italia, il paese del perbenismo, non ci sarebbe niente di più semplice.

E infine vediamo i nostri maggiori talenti, emigrare, li vediamo finire in tristi campionati cinesi come in questo caso, o li vediamo annaspare dietro un emblematico successo che non li colpirà, perchè il loro cognome non finisce in nho. Vediamo sessioni di calciomercato finire in tempi diversi, nonostante si propini al mondo la globalizzazione, e per finire vediamo la cosa più triste, gli stadi vuoti e i divani delle case piene.

Il calcio si vive sul campo, il calcio non è questo gioco malato che ci vogliono far credere, il vero calcio è ben altro, e noi in primis dovremmo lottare per averne un altro.

Diamanti è andato in Cina, Guaraldi ha pagato gli stipendi e a rimetterci restano solo i tifosi che amano e ameranno per sempre quella maglia. Noi diciamo no, questo calcio non ci piace più.