Davide D’Ancona, ex Civitanovese, campionato dilettanti, ha detto addio al calcio, un mondo sporco nel quale contano più gli interessi che la persona.
Ai microfoni di TuttoLegaPro.com, in esculsiva ha rilasciato una lunga intervista in cui racconta la propria storia.
“Ho mangiato tanta di quella m…a al punto che non ce l’ho fatta più e ho deciso di mollare tutto. Se tornassi indietro? Lo rifarei sempre!”. Esordisce così Davide, uno dei pochi ex giocatori che ha scelto di non farsi sconfiggere dal calcio, ma di uscire di scena prima che lo stesso potesse farlo con lui. A 23 anni e mezzo, ha preferito un lavoro, una vita diversa e soprattutto “costruirmi un futuro. Questo calcio non poteva darmelo”.
Davide, fin da piccolo ha idealizzato il calcio come qualcosa di magico, salvo ricredersi in maniera netta e cruda quando il sogno è divenuto una realtà amara, fatta di soldi da portare per foraggiare la stagione del club dove giocava. Un sistema che tutti conoscono, ma in pochi hanno il coraggio di denunciare, divenendo complici, giocando sulla pelle dei ragazzi, prime e senza ombra di dubbio uniche vittime: “La sensazione bruttissima di avere accanto compagni che in allenamento non sanno fare certi movimenti e che sono lì soltanto perchè portano soldi, ti mette nella condizione di non poter più respirare. Certo, con loro la vita sociale c’era, ma alla lunga la corda si spezza e ho deciso di dire basta”.
Le sue sembrano le parole di un ex detenuto che racconta ciò che avveniva dietro le sbarre: violenze, pestaggi, ecc. E le stesse sbarre divengono lo spogliatoio, luogo segreto per eccellenza del calcio, dove i misfatti come le partite vendute, c’è anche questo nel racconto di Davide, venivano organizzate: “Non potevo fare nulla. In quei casi la tua voce in capitolo è minima. Stai zitto e accetti di far parte di una farsa”.
La tua ultima stagione da giocatore lo scorso campionato con la Civitanovese in D. Quest’estate il fulmine a ciel sereno.
“Non lo chiamerei proprio un fulmine: avevo già ponderato bene le cose. Da circa un anno che avevo questo desiderio. Mi ero fatto male tempo prima, nell’Ebolitana (anno 2012/13, ndr): mi sono rotto menisco e crociato. Fino al gennaio del 2013 avevo fatto sei gol”.
Tu eri all’Ebolitana nel 2012/13, ma eri di proprietà del Bari.
“Si, infatti dopo l’infortunio non mi hanno rinnovato il contratto. Quell’anno è anche avvenuto tutto quello che sappiamo sul calcioscommesse e il derby farsa contro il Lecce. Di seguito ho ricominciato a novembre nell’Angolana dove ero cresciuto calcisticamente fino a 16 anni. Esperienza non particolarmente esaltante, a questo devo aggiungere il desiderio di mollare, che si è mitigato per le pressioni di mio padre che non voleva, i dirigenti che mi chiedevano di non mollare. Lo scorso anno sono andato alla Civitanovese e mi sentivo benissimo fisicamente, però alla fine ho visto che riemergeva la merda che c’è intorno al calcio e ho detto basta”.
Di quale merda parli?
“La conoscete anche voi: mi sono stufato a vedere determinate cose. Non c’è più la meritocrazia, c’è chi tira fuori i soldi per giocare e non ce l’ho fatta più”.
Tu giocavi?
“Si, ma non è questo il problema. E’ un altro: se vedi che accanto a te c’è un compagno che non sa fare certi movimenti, tecnicamente è scarso e non è in sintonia con te, non avendo i mezzi per essere a quel livello, ma è lì esclusivamente perchè porta soldi, ti rendi conto che è un male anche per te. Vengono a mancarti gli stimoli. E questo stato di cose alla lunga è diventato nauseante”.
Non sopportavo più questo stato di cose.
“Mi alzavo la mattina ed ero già nervoso. Quando arrivi a conviverci con questo sistema, arriva un momento in cui ne ha piene le scatole e vuoi soltanto mollare tutto. Potevo chiudere gli occhi e stare male, ma non rientra nella mia indole”.
Un sistema dove i direttori sportivi e i procuratori facevano il bello e il cattivo tempo.
“In particolar modo i primi. I secondi non li ho mai delusi per fortuna. Ce n’era uno che mi seguiva, ma c’era solo un accordo verbale, di firmato non c’era nulla. Non ho né rimorsi e né rimpianti, tutto quello che ho fatto me lo sono costruito con le mie gambe. Sono soddisfatto di me stesso perchè da questa battaglia non sono uscito sconfitto, ma a modo mio”.
Le persone cosa ti dicevano?
“Le solite cose: tu continua, fregatene. E questo mi dava fastidio perchè lo dicono persone che non vivono questo ambiente, non sentono questa puzza che ti impedisce di respirare quel calcio che hai amato fin da bambino. Sono fuori e vogliono farti la morale. Non sanno niente e come sempre capita in Italia, parlano, parlano, senza sapere”.
In un’intervista che hai concesso ad un quotidiano hai detto: “Preferisco il sabato sera uscire con gli amici e divertirmi”.
“Non stanno proprio così le cose. Tra un non futuro nel mondo del calcio e il vivacchiare tra Lega Pro e serie D, ho scelto di crearmi qualcosa di mio. Alle volte ci pensavo: arrivato a trent’anni, dopo una carriera ai bordi del grande calcio, cosa avrei fatto? E proprio in quei momenti che ti rendi conto di aver fatto la scelta giusta. Penso che il tipo di infanzia che ho vissuto – andando a lavorare in mezzo alla terra con mio zio – mi ha fatto capire tante cose. La mattina andare al mercato, il pomeriggio fare gli allenamenti. Sono insegnamenti importanti”.
Scelta difficile.
“Ho fatto 17 anni di sacrifici e li ho buttati nel cassonetto, ma non avevo scelta. Posso dirti che paradossalmente, adesso mi sento meglio, sono sereno. Mi sono tolto un peso, voglio dirlo senza nessun rancore per nessuno. Non ce la facevo più: quando non stai bene mentalmente anche le prestazioni in campo e gli allenamenti settimanali divengono una montagna da scalare”.
Ora lavori?
“Si, in un’azienda petrolifera. Sono in un cantiere: mi occupo di calcolo e percentuali di prodotti che vanno nel fango. In pratica creo il fango che va nella perforazione. Ora sto bene: quindici giorni lavoro – adesso sono in Basilicata – e il resto del mese sto a casa”.
Non ti manca un po il calcio?
“Certo, come no. Sarei un ipocrita se dicessi il contrario. E’ stata comunque una botta tremenda: lavoro di notte e faccio dodici ore. Sono passato dalle due che facevo agli allenamenti alla mezza giornata che faccio qui. E’ solo una questione di abitudine, non c’è problema”.
Hai chiesto consiglio a qualcuno nel fare la scelta di lasciare?
“No, la scelta a trecentosessanta gradi è mia. Ho parlato – come è giusto che sia – con la mia famiglia, con mio padre e alla fine ho lasciato tutto. Nessuno mi ha imposto niente”.
Cosa ti senti di dire ai ragazzi che tra sei mesi, un anno non saranno più utili come “quota under” per le società di Lega Pro e D?
“Non ho mai giudicato nessuno nella mia vita, e quello che mi sento di dire loro è di guardarsi dentro in maniera serena e valutare i pro e i contro, se il gioco vale la candela”.
Da piccolo idealizzavi il calcio in un modo e la realtà è completamente diversa.
“Ora non esageriamo: non sono uno sprovveduto che vive tra le nuvole. Ho sempre saputo che era così, ma con il fatto che quest’anno hanno abolito la Seconda Divisione, creando una C unica, le cose sono anche peggiorate e questo porta i personaggi che gravitano nel calcio a fare quello che vogliono: cosa proponi tu? Questo? Porti questi soldi e giochi. Dai, lo sappiamo tutti, non facciamo le finte vergini”.
Ti hanno mai chiesto di portare soldi per giocare?
“Si, ma ho rifiutato. Era una società del sud”.
Te l’ha chiesto un dirigente o un procuratore?
“Un dirigente, uno che faceva un po tutto”.
Quanto ti ha chiesto?
“Ventimila euro. Vitto e alloggio erano esclusi”.
Avresti giocato tutta la stagione?
“Questo non lo so, visto che ho rifiutato fin da subito e la trattativa, se così vogliamo chiamarla, non è andata neanche in porto. Tra l’altro sono ancora in causa con l’hotel”.
Non c’è l’ipotesi di un ripensamento?
“Neanche per sogno. Preferisco stare tranquillo con gente che mi fa stare bene, con la mia famiglia”.
Vai a vedere qualche partita ogni tanto?
“Non mi crederai, ma ho mollato anche dal punto di vista passivo: non le guardo neanche in tv. A dire il vero neanche prima ero un grande amante. Non amo le schedine, il fantacalcio, sono uno che preferisce l’aria aperta. Se c’è una finale di Champions, la vedo, un Barcellona-Real Madrid. Però se non ci sono questi eventi importanti, preferisco la MotoGp”.
Chi è il tuo campione preferito in questo sport?
“Valentino Rossi”.
Quanti soldi hai perso tra Lega Pro e D?
“Tanti e credo che per molti di questi posso mettermi l’anima in pace, non li avrò mai. Però mi sono tolto il peso di qualcosa che mi opprimeva. Mi hanno fatto mangiare merda e ho sbagliato anche io accettando situazioni che non dovevo neanche prendere in considerazione. Fortuna che è finita”.
Qualche dirigente ti ha cercato ultimamente?
“Si, il Direttore sportivo del Chieti, Omar Trovarello. Gliel’ho detto che non sarei ritornato sui miei passi”.
Come l’ha presa?
“Mi ha detto belle parole: da uomo rispetto la tua scelta e se sei felice, è giusto così. Lui conosce bene la mia situazione, non mi ha giudicato”.
Secondo te i vertici del calcio conoscono questo stato di cose?
“Certamente, fanno finta di niente”.
Hai avuto sentore che esista il doping nel calcio?
“No, io personalmente non l’ho notata questa cosa”.
E le partite vendute?
“Si, esiste come fenomeno”.
Anche dove hai giocato?
“A volte è successo”.
C’era un accordo tra giocatori o c’erano degli intermiediari?
“Gli intermediari non lo so, però sui calciatori, si, c’era un accordo qualche minuto prima di entrare in campo”.
Come la prendevi?
“Non potevo fare molto. Stavo zitto e giocavo. Cosa potevo fare?”.
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