La redazione di FootballScouting è orgogliosa di presentare la nuova rubrica “Scaglie di Grana”, scritta da Giuseppe Granara, ex capitano del Cagliari Primavera che ha scelto di approdare negli States per costruirsi un piano B tra studio e calcio grazie ad una borsa di studio che lo ha portato a studiare presso la Robert University di Tulsa, Oklahoma. Oggi presentiamo la prima puntata. Buona lettura!

“Hi, nice to meet you, my name is Giuseppe.” Ogni discorso con quelle strane persone che sono gli americani inizia così. “… ooh so you’re from Italy? That’s so cool! I’ve been there, I love italian food blablabla…”

E questo è come prosegue. Bisogna sapere che un sacco di americani è stato in Italia (percentuale tra molti e moltissimi %); chi non c’è stato conosce qualcuno che ci è stato; i restanti son sognatori che ci andranno o così dicono. Essere italiano in America è un po’ come essere Justin Bieber in mezzo alle dodicenni, o come essere Buffon in un qualsiasi bar di paese: sei un figo pazzesco a prescindere.

Quando sono arrivato, a luglio 2017, questa cosa mi ha aiutato tantissimo, e tuttora è interessante per conoscere nuova gente.
Ma andiamo con ordine: ho 21 anni, gioco a calcio da 16, studio ingegneria, adoro nuotare. Ho una sorella di 18 anni, un gatto di 8, e una incredibile passione per scoprire robe nuove. Sono di Cagliari, amo la mia terra e il mio mare, e sono abituato a viaggiare costantemente. Quando mi è arrivata un’offerta per una borsa di studio sportiva qua, oltre l’Atlantico, non ci ho pensato troppo, e son partito. Non faccio molti programmi, anzi amo improvvisare, però vivere in questo mondo nuovo mi sta insegnando tante cose, tra cui il prepararsi a tutto e avere sempre un piano B.

Ho iniziato a giocare a 4 anni nella scuola calcio Gigi Riva. A 9 anni sono stato selezionato dal Cagliari, e ho fatto tutta la trafila del settore giovanile: 4 campionati nazionali (giovanissimi, allievi, e due primavera), e in due di questi siamo pure andati ai playoff scudetto. Nel mio ultimo anno sono stato il capitano della squadra della mia città e del mio cuore, e l’ultima partita agli ottavi scudetto persa in casa del Torino campione in carica rimarrà un momento che mi emozionerà per tutta la mia vita.

Né io né nessuno dei miei compagni venne però aggregato alla prima squadra, nonostante i nostri risultati. Sono andato allora a giocare a Belluno, serie D, dove son rimasto sei mesi prima di spostarmi a Sanremo. È stato un periodo complesso della mia vita, dove ho capito che giocare e studiare in Italia non era possibile. Purtroppo per vivere di calcio in Italia devi essere veramente un fenomeno (vedi Nicolò Barella, con cui ho giocato per più di dieci anni: talento e bravo ragazzo, spero faccia la splendida carriera che si merita) e dopo essermi fatto due conti, ho deciso che sarebbe stato più saggio trovare una soluzione.

Son arrivato quindi a Tulsa, la seconda città per popolazione dell’Oklahoma, un posto ricco di petrolio e di conseguenza di tutto ciò che è correlato, ma non esattamente Manhattan o Miami. Ora frequento l’università e gioco nella squadra di calcio del college. Il calcio è un po’ diverso, ma avrò modo di scriverne più avanti. Pure la vita è un po’ diversa. Pure la lingua. Insomma, non c’è quasi un cazzo di simile.

Son ripartito per gli USA il 13 gennaio, dopo 3 settimane di Christmas break a casa dove ho passato tanto tempo con la famiglia e gli amici più stretti. Son contento di ripartire, perché per quanto sia bello passare le vacanze a casa, l’esperienza a stelle e strisce è un jolly che mi son sudato e che è interessante sotto infiniti punti di vista. Ho deciso di scrivere questa rubrica per due motivi: il primo è che spero aiuti qualcuno, anche solo uno, a prendere la decisione di partire, o comunque a prendere una decisione: l’insicurezza è una schifezza, meglio fare un errore che non fare niente. La seconda è che quando un anno fa mi informavo sulla vita in America, non ho mai trovato niente che mi rispondesse a tutte o quasi le mie domande. Avrei voluto leggere qualcosa che spiegasse tutto ciò che per gli americani è normalità, mentre per noi è fantascienza o semplicemente illogico. Io spero di riuscirci qua, perché se anche uno solo decidesse di partire e ci trovassimo insieme (o contro) su un campo di calcio americano, per me a prescindere dal risultato sportivo sarebbe comunque una vittoria. Il resto della mia vita americana? Nella prossima puntata…”.