Football Scouting ha intervistato in esclusiva Marco Borri, osservatore abilitato F.I.G.C. Ex Aldini Bariviera, ex responsabile Scouting Milano del Settore Giovanile dell’Albinoleffe dove ha collaborato anche per la prima squadra, ed ex Varese Calcio dove fino al 15 febbraio 18, giorno delle sue dimissioni, era responsabile Scouting Milano del Settore Giovanile.

Marco è un riferimento didattico del settore grazie anche ai suoi due libri pubblicati con la Calzetti&Mariucci: “L’osservatore calcistico a 360°” (2014 – primo libro sull’argomento, già alla seconda pubblicazione), ed il più recente (2017) e specifico “manuale del talent scout nel calcio”. Un’intervista a tuttotondo sullo scouting dei calciatori e sulla parte didattica che stà molto a cuore a Marco Borri. Dal 7 al 10 Marzo infatti Marco sarà uno dei docenti del corso per Osservatori tenuto dalla R.O.I. Italia.

In generale, che importanza ricopre lo scouting per un club?
A livello teorico è sicuramente importante, ma dipende molto da quanto un club ci crede realmente. La ricerca del talento, in linea generale, è fondamentale sia per la valorizzazione tecnica delle squadre sia economica dei club grazie ad eventuali plusvalenze. Esistono diverse modalità di fare scouting, tutto dipende dalle realtà per le quali si lavora, dagli obiettivi e dalla ‘filosofia scouting’ della società. Non è detto che il ‘giocatore obiettivo’ di un determinato club lo sia anche per un altro.

Quali sono le società di Serie A, che a tuo parere, godono di una struttura più salda e appunto meglio strutturata?
Non lavorando per un club di Serie A non mi permetto di giudicare, ma mi pare che il lavoro dell’Atalanta di questi anni sia sotto gli occhi di tutti. Ho avuto la fortuna di conoscere di persona Mino Favini, uno dei maestri della professione che è sicuramente uno degli artefici della qualità e dei risultati del club della Dea. Credo che la continuità del lavoro, un metodo, un linguaggio e una filosofia comuni sono fondamentali per un’area scouting concreta e produttiva. Se tutto questo viene meno, fare scouting diventa molto difficile, soprattutto in realtà meno blasonate che già possono soffrire la concorrenza dei club più importanti.

Quali sono le caratteristiche da ricercare in un giovane calciatore?
E’ un discorso molto complesso, forse troppo lungo per essere riportato in poche parole ma, come accennato, molto dipende dalla ‘filosofia scouting’, dalle esigenze e dalle linee guida del club. Per fare un esempio all‘Albinoleffe la ricerca del giovane calciatore era definita, specifica, determinata da un sistema di gioco ben preciso. Il giocatore, anche se giovane, doveva mostrare caratteristiche e attitudini, in base al ruolo, in grado di sapersi collocare e integrare in un modulo e un sistema di gioco ben preciso; giocatori capaci di vincere i duelli individuali. A Varese, ai tempi della Serie B, ricercavamo e selezionavamo semplicemente i giocatori bravi e di prospettiva, tendenzialmente tardivi, a prescindere da qualsiasi modulo o sistema di gioco; analogo approccio di ricerca era adottato in Serie D. Il vero lavoro di scouting si effettua sui tardivi ma ritengo anche che il giocatore precoce aiuti a costruire le squadre giovanili risultando utile ed allenante per la squadra. La valutazione del precoce è forse la più difficile nella lettura della prospettiva; il precoce può comunque diventare un giocatore professionista. In linea generale, credo che l’osservatore debba anzitutto preoccuparsi di individuare i Bravi.

Che cos’è il talento? La sua individuazione è frutto di un’intuizione?
Non esiste la formula del talento. Per alcuni è il risultato di fattori ambientali o di allenamento, per altri invece può essere l’espressione di fattori innati. Ci sono diverse definizioni scientifiche che tentano di dare una spiegazione a questo affascinante termine. Semplificando: è un talento il giovane calciatore che, rispetto ai coetanei e soprattutto in gara, esegue tutto con naturalezza, mostrando qualità superiori alla media suscettibili di miglioramento (capacità di apprendimento). Il lavoro dell’osservatore, la sua valutazione è il frutto di una sfera analitica e di una sensibile (istintiva), entrambe fondamentali e imprescindibili.

Dal 7 al 10 Marzo si svolgerà il corso organizzato da R.O.I. Italia, lei ricoprirà il ruolo di docente, in cosa consisterà la sua lezione?
Mi è stato chiesto di sviluppare l’argomento scouting giovanile, cercherò di offrire più spunti possibili, argomentazioni nuove e per certi aspetti multidisciplinari, perché come dice Josè Mourinho ‘chi sa solo di calcio non sa niente di calcio’; sarà sicuramente un qualche cosa che si discosta dai canoni classici, entrando comunque nello specifico dei tecnicismi della professione.
Per svolgere al meglio questo mestiere penso sia necessaria una cultura specifica, ad ampio raggio, che possa consentire di osservare a 360°, allargando così gli orizzonti, quindi le riflessioni ai fini dell’analisi.

Pensa che lo Scouting a livello nazionale, tramite questi corsi, possa migliorare e creare più interesse anche per chi sta pensando di immettersi in questo mondo, parzialmente esplorato, dello sport?
Sono uno tra i primi 42 osservatori d’Italia abilitati dalla F.I.G.C. nel 2015, ma prima di partecipare al corso federale ho frequentato corsi privati, tra i quali anche uno della R.O.I. a Milano. Nel 2014 non c’era moltissimo da un punto di vista didattico-culturale per gli osservatori rispetto a quello che offre oggi il mercato. I corsi come quelli della R.O.I. rivestono un compito importante per tutti coloro desiderano approfondire, condividere e/o avvicinarsi a questa professione. Probabilmente i libri usciti in questi anni, il corso Federale e quelli privati, ben strutturati come appunto quello della R.O.I. Italia hanno certamente contribuito ad alzare il livello medio degli scout. Riscontro infatti, rispetto anche a pochi anni fa, un notevole innalzamento di linguaggio e competenza tra gli osservatori. C’è meno improvvisazione, anche a livello dilettantistico, si è in molti di più e quindi serve prepararsi.

Da cosa nasce la sua passione per lo Scouting?
Ho giocato fino in Serie D. Non ero un fenomeno ma mi difendevo bene nella categoria. Ho giocato nei dilettanti e per motivi di lavoro ho dovuto ridimensionare l’impegno fino alla Seconda Categoria, non mi divertivo più, non mi appagava e ho appeso le scarpe al chiodo relativamente giovane. Smettendo di giocare ho anche smesso di seguire il calcio perchè “soffrivo”… mi mancava. Ho cercato quindi qualcosa che potesse riavvicinarmi a questo sport sfruttando le mie attitudini e competenze commerciali maturate sul lavoro. La figura dell’osservatore in qualche modo conteneva tutto questo. E’ sempre stata una figura che mi ha affascinato sin da bambino. Il mio primo incontro con un talent scout è stato con Antonio Crippa, abile scout che ha scoperto diversi talenti come Aldo Maldera, Giovanni Trapattoni, ecc. Girava con un motorino per parchi e oratori e reclutava ragazzi per la sua squadra di Cusano Milanino.